[House] Three
Apr. 9th, 2007 08:52 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Three
Fandom: House MD
Pairing: House/Wilson/altro personaggio
Rating: NC-17
Warning: Threesome. Ci sarebbe anche un altro avviso, ma non posso specificarlo a meno di spoilerare mezza fic. Quindi, se siete persone generalmente sensibili a temi un po' forti e/o socialmente controversi, astenetevi preventivamente e non prendetevela con me.
Spoiler: Nessuno.
Disclaimer: House, la Fox, David Shore e Hugh Laurie sono mia proprietà, li ho vinti a poker l'altra notte.
Grazie a:
eryslash,
saraba_kanashimi e Eledh per le letture preventive e i commenti inconcludenti ma nondimeno graditissimi ;P
Dedicato a:
laurazel, perché non le dedico mai niente, perché la amo, e perché disegna le smut H/W più belle dell'universo.
Nota: Siccome ho notato che qualcuno s'è perso... James e Jimmy sono ovviamente la stessa persona. Non confondetevi, se potete. *prays*
Foreplay
Istintivamente chiuse gli occhi, ricordandosi troppo tardi del divieto. Non avevano stabilito se ci fosse punizione per chi trasgrediva, e del resto non sarebbe stato molto corretto, visto che l’unica regola era per lui. Ma a giocare con certe persone non si poteva mai dire.
Li riaprì subito, ma non abbastanza rapidamente da evitare il rimprovero. La voce, un po’ scherzosa e un po’ no, gli sibilò all’orecchio di non dimenticare le regole. E poi aggiunse un po’ più dolcemente: «… Jimmy».
Jimmy tenne gli occhi socchiusi nella stanza improvvisamente illuminata, aspettando che le macchioline scure svanissero dal suo campo visivo. Era stato House ad accendere, ovviamente (se qualcosa ti doveva disturbare sul più bello potevi star certo che fosse colpa sua), ma restava da capire il perché del lampadario, invece della piccola, non accecante abat-jour.
«Tutte le persone normali li tengono nel cassetto, House» commentò la voce, in uno sbadiglio.
«È colpa di Wilson» dichiarò House.
Jimmy aprì la bocca per protestare (o per chiedere un chiarimento), ma l’altro sbuffò: «Toccava a te, stavolta».
«Tutta colpa di Wilson» ripeté House, e sollevando un po’ il mento James poté vedere che stava rivoltando le tasche di tutti gli indumenti lungo il suo cammino.
«Puoi sempre fare un salto alla farmacia notturna» osservò l’altro, canzonatorio, appoggiando la guancia sulla mano. House non lo degnò di una risposta, e l’altro si accoccolò deliberatamente contro il fianco di Jimmy.
«Guardo di là» bofonchiò House, zoppicando fuori dalla camera da letto. (Jimmy aveva il vago ricordo di un blazer appeso all’attaccapanni.)
«La luce!» gridò l’altro, ma House era troppo lontano e non c’erano speranze che tornasse indietro per spegnerla. Jimmy lo vide scattare agilmente sul pavimento, raggiungere l’interruttore in due falcate e poi tornare indietro con più calma. Nello stordimento delle pupille ora disabituate al buio, non lo distinse chiaramente. Si sollevò sui gomiti per avere maggior controllo ma lui lo spinse giù, appoggiandogli una mano sul petto e le labbra sulla bocca.
Siccome la regola degli occhi aperti valeva in ogni caso, Jimmy non li chiuse mentre l’altro lasciava scivolare la lingua nella sua bocca. Non sapeva se fosse solo un piccolo vezzo voyeuristico o un modo per costringerlo a concentrarsi – tendeva ad abbandonarsi, in alcuni momenti.
Rispose con un certo sollievo, il fastidio per l’interruzione che rapidamente scemava, mentre l’altro scivolava al solito posto alla sua sinistra. Il letto era grande, a volte anche troppo, ma di solito tendeva a restringersi in un coro di giunture che si urtavano e di caviglie intrecciate.
Accolse con un sospiro la carezza delle dita che scendevano lungo il suo torace, seguivano la sottile linea di peluria sotto l’ombelico e poi si aprivano a fiore scivolando sotto i lembi aperti dei jeans. Era eccitato già da un po’, da prima che House ricordasse di aver dimenticato i preservativi, e da prima che l’altro gli tirasse giù la zip coi denti – prova che gli era valsa un venti dollari pagato da House con tutto il piacere. Quando l’altro gli prese il membro nella mano e finalmente iniziò a masturbarlo, James lasciò andare in un sospiro tutta l’attesa frustrata degli ultimi minuti.
«Che cosa vuoi, Jimmy?»
Lui non rispose, gli occhi ben aperti nei suoi, in attesa che continuasse. Non era certo che non fosse una domanda retorica.
«Rispondi.»
«Lo sai.»
L’altro sorrise e gli sfiorò la guancia con le labbra, poi s’inginocchiò tra le sue gambe tirandogli giù i jeans e la biancheria. Con una lentezza che James trovò esasperante – ma le proteste gli rimasero incastrate in gola – vide l’altro chinarsi su di lui, e siccome era la regola, tenne gli occhi aperti e li sentì dolere dalla forza con cui rispettava la consegna. Vide – sentì – la lingua tracciare ogni linea, ogni curva, disegnare sottili sentieri di saliva sulla pelle tesa e sui rilievi delle vene. Avrebbe potuto chiudere gli occhi, ormai – era troppo occupato per accorgersene – ma il pensiero non lo sfiorò nemmeno.
Poi lo prese in bocca, e Jimmy mormorò il suo nome senza, curiosamente, emettere alcun suono. Non ci mise molto. Gli venne tra le labbra soffocando la voce per un senso di vergogna ingiustificato ma nondimeno fortissimo, e poi si abbandonò tra le lenzuola a riprendere fiato.
«Non ci si può allontanare un secondo» borbottò House, mentre il materasso si incurvava sotto il suo peso.
L’altro ghignò, e James notò che quando ghignava assomigliava a House in maniera impressionante. «Jimmy non poteva aspettare.»
«Jimmy non può mai aspettare» replicò House, con una sfumatura di tono che non riuscì a capire. Con House erano sempre le sfumature, ma in questo momento non era in grado di coglierle.
Il sorriso dell’altro si trasformò in una smorfietta divertita e appoggiò la mano sulla nuca di House, attirandolo più vicino. Lo baciò con le labbra così vicine a quelle di Jimmy che lui poté sentire i loro respiri mischiati e di rimando il proprio, e la cosa gli trasmise un brivido in tutto il corpo.
«Allora Jimmy si farà perdonare» scandì David, leccandosi le labbra.
---
Coitus
«Uh.»
«Scusa.»
House espirò rumorosamente, girandosi verso l’interno del letto. Wilson gli aveva assestato una gomitata nel fianco, un gesto involontario. Si era svegliato bruscamente, con la sensazione che qualcuno gli avesse versato dell’acqua gelida addosso (ma non c’era acqua, e il letto era perfettamente asciutto), e la cosa gli aveva lasciato addosso un’agitazione fastidiosa e pungente come un crampo allo stomaco.
House gli passò un braccio intorno alla vita, respirandogli sulla nuca, e Wilson si permise di rilassarsi. Non sapeva nemmeno perché si fosse svegliato. Indagò rapidamente: non aveva sete, nessun bisogno urgente, House non russava. Lasciando aderire la schiena al torace dell’altro, appoggiò una mano sulla sua e si rimise a dormire.
«Chi è David?»
Wilson spalancò gli occhi. D’improvviso sentiva lo sguardo di House bucargli la nuca, e un freddo glaciale sotto le lenzuola primaverili.
Non rispose.
La mano di House si contrasse e risalì fino al diaframma, dove il cuore aveva preso a picchiare con forza contro la cassa toracica. Wilson seguì con lo sguardo il profilo del comodino, e si riempì gli occhi del lampeggiare sanguigno e intermittente della sveglia (01.46). Una sensazione viscida di colpevolezza suggerì al suo cuore di accelerare ancora un po’ il battito, giusto nel caso House non se ne fosse accorto.
«Non lo so» mormorò. E poi aggiunse – non poté farne a meno: «Scusa».
Per un tempo infinito la mano rimase immobile, contratta a pugno intorno a un lembo della sua maglietta, e per esteso, pensò, del suo cuore; poi, lentamente, si rilassò e scivolò più in basso. Stropicciò l’orlo di stoffa tra le dita, sfiorando la pelle calda al di sotto. Wilson sentì il corpo di House stringersi al suo, il respiro sulla nuca farsi più caldo, la mano scivolare sotto la maglietta e risalire fino ai capezzoli, che si inturgidirono sotto le punte delle dita. Emise un verso leggero di apprezzamento, un suono a metà tra un mugolo e un mormorio. Il freddo si stava allontanando, relegato in un angolo della mente. Sentì House strofinarsi contro di lui e poi l’erezione crescere tra le sue natiche; allungando una mano indietro, Wilson appoggiò il palmo sulla coscia dell’altro e lo tirò più vicino. Per tutta risposta House affondò il viso nell’incavo del suo collo, stringendogli piano tra i denti un lembo di pelle che si arrossò all’istante.
Intrecciando le dita con le sue, Wilson tirò la mano di House verso il basso, sotto l’elastico del pigiama, e il gesto gli procurò un immediato sollievo.
Non chiudere gli occhi.
Wilson si irrigidì, ma House non se ne accorse. Gli mordicchiò l’orecchio, procurandogli un brivido di piacere che si dipartì dall’inguine in ogni direzione, fino alle dita dei piedi che formicolarono per un istante. Senza smettere di giocherellare col suo orecchio, House gli tirò giù i pantaloni.
È la regola, Jimmy.
Wilson si voltò nello spazio ridotto e le lenzuola gli si attorcigliarono intorno come una medusa. Si spinse verso l’altro, baciandolo con le palpebre deliberatamente serrate, inspirando la traccia tenue dell’ultimo bagnoschiuma che si perdeva in un miscuglio di aromi maschili e saliva. Lasciò scorrere le dita sugli addominali di House, sollevò l’elastico dei pantaloni e infilò la mano dentro i boxer, sentendo la presa di House su di lui farsi più forte, più imperiosa.
«… servativi» ansimò in tono urgente, e House si staccò con un grugnito di fastidio per allungarsi verso il comodino. Wilson lo sentì rovistare, poi imprecare, e un vago senso di vertigine gli impedì di sollevarsi per controllare cosa stesse succedendo.
«Li ho comprati» disse House. «Cazzo.»
«Il blazer. Nell’ingresso.»
House lo guardò per un attimo, corrugò la fronte, poi annuì e scivolò giù dal letto.
Rimasto solo, Wilson si scostò di dosso il viluppo delle lenzuola e si guardò per un istante, sospirando. Se qualcosa ti doveva disturbare sul più bello potevi star certo che fosse colpa di House.
Sarebbe dovuto andare lui al suo posto, comunque.
«Perché non li hai messi nel cassetto?» arrivò la voce dall’altra stanza.
«Perché toccava a te.»
«Perché non mi hai ricordato di metterli nel cassetto?»
Wilson chiuse gli occhi, si prese il membro nella mano e aspettò che tornasse – cosa che avvenne una manciata di secondi dopo. House zoppicò nella stanza con l’occorrente in una mano e il flacone di Vicodin nell’altra, e Wilson fece finta di niente quando il tubetto svuotato volò sul pavimento alle sue spalle. Si voltò sulla pancia, la sopportazione allo stremo.
«Dio, il romanticismo» commentò House, sarcastico, sfilandogli i pantaloni.
«Al diavolo il romanticismo.»
La preparazione fu sbrigativa, e Wilson fu infinitamente grato al dio del sesso che l’avessero già fatto quella sera (senza preservativi?), perché facilitò le cose. Si aggrappò al materasso, la faccia mezza sprofondata nel cuscino, mentre House entrava con un leggero grugnito. Sentiva contro la schiena lo strofinio appiccicoso della maglietta, e più sopra il peso di House, sbilanciato a sinistra ma saldo nelle spinte. Cercò di masturbarsi seguendo il ritmo dettato dall’altro, ma le sue batterie empatiche dovevano essersi scaricate quando House aveva dimenticato i preservativi la seconda (seconda?) volta. Finì per primo, sollevato e stanco, e ancora più sollevato quando House lo seguì poco dopo.
Un bacio sulla spalla e House era andato. Una breve pausa (stava sfilando il profilattico), poi sentì il suo corpo ricadere sul materasso, e visto che era inutile aspettarsi che lo facesse lui, Wilson raccolse le lenzuola e coprì entrambi.
«Avevi dimenticato i preservativi.»
«Ehi, può succedere. Vuoi crocifiggermi?»
«No, nel sogno. Erano nel blazer appeso nell’ingresso.» Fissò intensamente il vuoto. «Era mio fratello. David.»
«Facevi sesso con tuo fratello?»
«Era un sogno.»
House tacque.
«House?»
«Sì, biscottino?»
«Smettila di immaginare di fare sesso con me e mio fratello.»
Il suono del campanello si intromise bruscamente, come un ospite indesiderato. House corrugò la fronte, senza accennare ad alzarsi. La sveglia lampeggiava 02.59; quando Wilson la guardò, scattò su 03.00.
«Vado io.»
«Se è la puttana dille che per oggi sto a posto, grazie.»
«Dio, il romanticismo.»
«Al diavolo il romanticismo.»
Wilson sorrise, raccolse i boxer e il primo paio di pantaloni che trovò sul pavimento (quelli di House. Troppo lunghi), e andò ad aprire la porta.
Lui indossava un pigiama, e un ghigno che James trovò spaventoso. «Sai, Jimmy. Non credo che tu ti sia fatto perdonare, poi.»
---
Postcoital
«Dammi uno schiaffo.»
«Con piacere, ma perché?»
«Non sono sicuro di essere sveglio.»
Il ceffone arrivò, preciso e puntuale come il treno delle sei. Wilson aprì un occhio, sentendo la guancia offesa formicolare leggermente.
«Convinto?»
Wilson si ributtò disteso. «Ora sì.» I ricordi – quelli veri, della vita reale – stavano tornando rapidamente. Cos’aveva mangiato a cena, cos’aveva fatto nel pomeriggio, e tutto il resto a ritroso. Sospirò, sollevato. Si sentiva ancora soffocare al pensiero di non riuscire a svegliarsi.
«Che hai sognato?»
Wilson chiuse gli occhi, il dorso della mano sulla fronte. «È cominciato come un sogno erotico.»
«Questo non è male.»
«Eravamo in tre.»
«C’ero pure io? Ancora meglio. Chi era l’altro?»
«Ora te lo dico. Poi mi sono svegliato.»
«Questo è un peccato.»
«Mi sono svegliato, ma non ero sveglio davvero. Era un altro sogno. Un altro sogno erotico.»
«Wow. Ti sei dato da fare, stanotte.»
«E la cosa più assurda», continuò Wilson, la voce vagamente angosciata e qualche tono più alta del normale, «è che saprei descrivertelo in ogni dettaglio. Saprei dirti quanto era alto, le sfumature di colore dei suoi occhi, come camminava e quanti nei aveva sulla schiena. Tutto. Ma non ho idea di chi sia questo Gregory House!»
David scrollò le spalle e poi si accoccolò accanto al fratello, appoggiandogli la guancia sulla spalla. «Sarà uno che hai visto di sfuggita una volta, o un vecchio compagno di scuola. Hai messo insieme un po’ di cose e la tua mente ha fatto il resto.» Sbadigliò. «Buonanotte, Jimmy.»
«Buonanotte, Dave.»
Ma non riuscì a riaddormentarsi.
Nota: L'ispirazione di questa fantasia malata è interamente dovuta a questo disegno della mia puccia
eryslash. Che, giusto per mettere i puntini sulle i, è stato ispirato a sua volta da me, quindi tutto torna. ♥
Fandom: House MD
Pairing: House/Wilson/altro personaggio
Rating: NC-17
Warning: Threesome. Ci sarebbe anche un altro avviso, ma non posso specificarlo a meno di spoilerare mezza fic. Quindi, se siete persone generalmente sensibili a temi un po' forti e/o socialmente controversi, astenetevi preventivamente e non prendetevela con me.
Spoiler: Nessuno.
Disclaimer: House, la Fox, David Shore e Hugh Laurie sono mia proprietà, li ho vinti a poker l'altra notte.
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Nota: Siccome ho notato che qualcuno s'è perso... James e Jimmy sono ovviamente la stessa persona. Non confondetevi, se potete. *prays*
Foreplay
Istintivamente chiuse gli occhi, ricordandosi troppo tardi del divieto. Non avevano stabilito se ci fosse punizione per chi trasgrediva, e del resto non sarebbe stato molto corretto, visto che l’unica regola era per lui. Ma a giocare con certe persone non si poteva mai dire.
Li riaprì subito, ma non abbastanza rapidamente da evitare il rimprovero. La voce, un po’ scherzosa e un po’ no, gli sibilò all’orecchio di non dimenticare le regole. E poi aggiunse un po’ più dolcemente: «… Jimmy».
Jimmy tenne gli occhi socchiusi nella stanza improvvisamente illuminata, aspettando che le macchioline scure svanissero dal suo campo visivo. Era stato House ad accendere, ovviamente (se qualcosa ti doveva disturbare sul più bello potevi star certo che fosse colpa sua), ma restava da capire il perché del lampadario, invece della piccola, non accecante abat-jour.
«Tutte le persone normali li tengono nel cassetto, House» commentò la voce, in uno sbadiglio.
«È colpa di Wilson» dichiarò House.
Jimmy aprì la bocca per protestare (o per chiedere un chiarimento), ma l’altro sbuffò: «Toccava a te, stavolta».
«Tutta colpa di Wilson» ripeté House, e sollevando un po’ il mento James poté vedere che stava rivoltando le tasche di tutti gli indumenti lungo il suo cammino.
«Puoi sempre fare un salto alla farmacia notturna» osservò l’altro, canzonatorio, appoggiando la guancia sulla mano. House non lo degnò di una risposta, e l’altro si accoccolò deliberatamente contro il fianco di Jimmy.
«Guardo di là» bofonchiò House, zoppicando fuori dalla camera da letto. (Jimmy aveva il vago ricordo di un blazer appeso all’attaccapanni.)
«La luce!» gridò l’altro, ma House era troppo lontano e non c’erano speranze che tornasse indietro per spegnerla. Jimmy lo vide scattare agilmente sul pavimento, raggiungere l’interruttore in due falcate e poi tornare indietro con più calma. Nello stordimento delle pupille ora disabituate al buio, non lo distinse chiaramente. Si sollevò sui gomiti per avere maggior controllo ma lui lo spinse giù, appoggiandogli una mano sul petto e le labbra sulla bocca.
Siccome la regola degli occhi aperti valeva in ogni caso, Jimmy non li chiuse mentre l’altro lasciava scivolare la lingua nella sua bocca. Non sapeva se fosse solo un piccolo vezzo voyeuristico o un modo per costringerlo a concentrarsi – tendeva ad abbandonarsi, in alcuni momenti.
Rispose con un certo sollievo, il fastidio per l’interruzione che rapidamente scemava, mentre l’altro scivolava al solito posto alla sua sinistra. Il letto era grande, a volte anche troppo, ma di solito tendeva a restringersi in un coro di giunture che si urtavano e di caviglie intrecciate.
Accolse con un sospiro la carezza delle dita che scendevano lungo il suo torace, seguivano la sottile linea di peluria sotto l’ombelico e poi si aprivano a fiore scivolando sotto i lembi aperti dei jeans. Era eccitato già da un po’, da prima che House ricordasse di aver dimenticato i preservativi, e da prima che l’altro gli tirasse giù la zip coi denti – prova che gli era valsa un venti dollari pagato da House con tutto il piacere. Quando l’altro gli prese il membro nella mano e finalmente iniziò a masturbarlo, James lasciò andare in un sospiro tutta l’attesa frustrata degli ultimi minuti.
«Che cosa vuoi, Jimmy?»
Lui non rispose, gli occhi ben aperti nei suoi, in attesa che continuasse. Non era certo che non fosse una domanda retorica.
«Rispondi.»
«Lo sai.»
L’altro sorrise e gli sfiorò la guancia con le labbra, poi s’inginocchiò tra le sue gambe tirandogli giù i jeans e la biancheria. Con una lentezza che James trovò esasperante – ma le proteste gli rimasero incastrate in gola – vide l’altro chinarsi su di lui, e siccome era la regola, tenne gli occhi aperti e li sentì dolere dalla forza con cui rispettava la consegna. Vide – sentì – la lingua tracciare ogni linea, ogni curva, disegnare sottili sentieri di saliva sulla pelle tesa e sui rilievi delle vene. Avrebbe potuto chiudere gli occhi, ormai – era troppo occupato per accorgersene – ma il pensiero non lo sfiorò nemmeno.
Poi lo prese in bocca, e Jimmy mormorò il suo nome senza, curiosamente, emettere alcun suono. Non ci mise molto. Gli venne tra le labbra soffocando la voce per un senso di vergogna ingiustificato ma nondimeno fortissimo, e poi si abbandonò tra le lenzuola a riprendere fiato.
«Non ci si può allontanare un secondo» borbottò House, mentre il materasso si incurvava sotto il suo peso.
L’altro ghignò, e James notò che quando ghignava assomigliava a House in maniera impressionante. «Jimmy non poteva aspettare.»
«Jimmy non può mai aspettare» replicò House, con una sfumatura di tono che non riuscì a capire. Con House erano sempre le sfumature, ma in questo momento non era in grado di coglierle.
Il sorriso dell’altro si trasformò in una smorfietta divertita e appoggiò la mano sulla nuca di House, attirandolo più vicino. Lo baciò con le labbra così vicine a quelle di Jimmy che lui poté sentire i loro respiri mischiati e di rimando il proprio, e la cosa gli trasmise un brivido in tutto il corpo.
«Allora Jimmy si farà perdonare» scandì David, leccandosi le labbra.
Coitus
«Uh.»
«Scusa.»
House espirò rumorosamente, girandosi verso l’interno del letto. Wilson gli aveva assestato una gomitata nel fianco, un gesto involontario. Si era svegliato bruscamente, con la sensazione che qualcuno gli avesse versato dell’acqua gelida addosso (ma non c’era acqua, e il letto era perfettamente asciutto), e la cosa gli aveva lasciato addosso un’agitazione fastidiosa e pungente come un crampo allo stomaco.
House gli passò un braccio intorno alla vita, respirandogli sulla nuca, e Wilson si permise di rilassarsi. Non sapeva nemmeno perché si fosse svegliato. Indagò rapidamente: non aveva sete, nessun bisogno urgente, House non russava. Lasciando aderire la schiena al torace dell’altro, appoggiò una mano sulla sua e si rimise a dormire.
«Chi è David?»
Wilson spalancò gli occhi. D’improvviso sentiva lo sguardo di House bucargli la nuca, e un freddo glaciale sotto le lenzuola primaverili.
Non rispose.
La mano di House si contrasse e risalì fino al diaframma, dove il cuore aveva preso a picchiare con forza contro la cassa toracica. Wilson seguì con lo sguardo il profilo del comodino, e si riempì gli occhi del lampeggiare sanguigno e intermittente della sveglia (01.46). Una sensazione viscida di colpevolezza suggerì al suo cuore di accelerare ancora un po’ il battito, giusto nel caso House non se ne fosse accorto.
«Non lo so» mormorò. E poi aggiunse – non poté farne a meno: «Scusa».
Per un tempo infinito la mano rimase immobile, contratta a pugno intorno a un lembo della sua maglietta, e per esteso, pensò, del suo cuore; poi, lentamente, si rilassò e scivolò più in basso. Stropicciò l’orlo di stoffa tra le dita, sfiorando la pelle calda al di sotto. Wilson sentì il corpo di House stringersi al suo, il respiro sulla nuca farsi più caldo, la mano scivolare sotto la maglietta e risalire fino ai capezzoli, che si inturgidirono sotto le punte delle dita. Emise un verso leggero di apprezzamento, un suono a metà tra un mugolo e un mormorio. Il freddo si stava allontanando, relegato in un angolo della mente. Sentì House strofinarsi contro di lui e poi l’erezione crescere tra le sue natiche; allungando una mano indietro, Wilson appoggiò il palmo sulla coscia dell’altro e lo tirò più vicino. Per tutta risposta House affondò il viso nell’incavo del suo collo, stringendogli piano tra i denti un lembo di pelle che si arrossò all’istante.
Intrecciando le dita con le sue, Wilson tirò la mano di House verso il basso, sotto l’elastico del pigiama, e il gesto gli procurò un immediato sollievo.
Non chiudere gli occhi.
Wilson si irrigidì, ma House non se ne accorse. Gli mordicchiò l’orecchio, procurandogli un brivido di piacere che si dipartì dall’inguine in ogni direzione, fino alle dita dei piedi che formicolarono per un istante. Senza smettere di giocherellare col suo orecchio, House gli tirò giù i pantaloni.
È la regola, Jimmy.
Wilson si voltò nello spazio ridotto e le lenzuola gli si attorcigliarono intorno come una medusa. Si spinse verso l’altro, baciandolo con le palpebre deliberatamente serrate, inspirando la traccia tenue dell’ultimo bagnoschiuma che si perdeva in un miscuglio di aromi maschili e saliva. Lasciò scorrere le dita sugli addominali di House, sollevò l’elastico dei pantaloni e infilò la mano dentro i boxer, sentendo la presa di House su di lui farsi più forte, più imperiosa.
«… servativi» ansimò in tono urgente, e House si staccò con un grugnito di fastidio per allungarsi verso il comodino. Wilson lo sentì rovistare, poi imprecare, e un vago senso di vertigine gli impedì di sollevarsi per controllare cosa stesse succedendo.
«Li ho comprati» disse House. «Cazzo.»
«Il blazer. Nell’ingresso.»
House lo guardò per un attimo, corrugò la fronte, poi annuì e scivolò giù dal letto.
Rimasto solo, Wilson si scostò di dosso il viluppo delle lenzuola e si guardò per un istante, sospirando. Se qualcosa ti doveva disturbare sul più bello potevi star certo che fosse colpa di House.
Sarebbe dovuto andare lui al suo posto, comunque.
«Perché non li hai messi nel cassetto?» arrivò la voce dall’altra stanza.
«Perché toccava a te.»
«Perché non mi hai ricordato di metterli nel cassetto?»
Wilson chiuse gli occhi, si prese il membro nella mano e aspettò che tornasse – cosa che avvenne una manciata di secondi dopo. House zoppicò nella stanza con l’occorrente in una mano e il flacone di Vicodin nell’altra, e Wilson fece finta di niente quando il tubetto svuotato volò sul pavimento alle sue spalle. Si voltò sulla pancia, la sopportazione allo stremo.
«Dio, il romanticismo» commentò House, sarcastico, sfilandogli i pantaloni.
«Al diavolo il romanticismo.»
La preparazione fu sbrigativa, e Wilson fu infinitamente grato al dio del sesso che l’avessero già fatto quella sera (senza preservativi?), perché facilitò le cose. Si aggrappò al materasso, la faccia mezza sprofondata nel cuscino, mentre House entrava con un leggero grugnito. Sentiva contro la schiena lo strofinio appiccicoso della maglietta, e più sopra il peso di House, sbilanciato a sinistra ma saldo nelle spinte. Cercò di masturbarsi seguendo il ritmo dettato dall’altro, ma le sue batterie empatiche dovevano essersi scaricate quando House aveva dimenticato i preservativi la seconda (seconda?) volta. Finì per primo, sollevato e stanco, e ancora più sollevato quando House lo seguì poco dopo.
Un bacio sulla spalla e House era andato. Una breve pausa (stava sfilando il profilattico), poi sentì il suo corpo ricadere sul materasso, e visto che era inutile aspettarsi che lo facesse lui, Wilson raccolse le lenzuola e coprì entrambi.
«Avevi dimenticato i preservativi.»
«Ehi, può succedere. Vuoi crocifiggermi?»
«No, nel sogno. Erano nel blazer appeso nell’ingresso.» Fissò intensamente il vuoto. «Era mio fratello. David.»
«Facevi sesso con tuo fratello?»
«Era un sogno.»
House tacque.
«House?»
«Sì, biscottino?»
«Smettila di immaginare di fare sesso con me e mio fratello.»
Il suono del campanello si intromise bruscamente, come un ospite indesiderato. House corrugò la fronte, senza accennare ad alzarsi. La sveglia lampeggiava 02.59; quando Wilson la guardò, scattò su 03.00.
«Vado io.»
«Se è la puttana dille che per oggi sto a posto, grazie.»
«Dio, il romanticismo.»
«Al diavolo il romanticismo.»
Wilson sorrise, raccolse i boxer e il primo paio di pantaloni che trovò sul pavimento (quelli di House. Troppo lunghi), e andò ad aprire la porta.
Lui indossava un pigiama, e un ghigno che James trovò spaventoso. «Sai, Jimmy. Non credo che tu ti sia fatto perdonare, poi.»
Postcoital
«Dammi uno schiaffo.»
«Con piacere, ma perché?»
«Non sono sicuro di essere sveglio.»
Il ceffone arrivò, preciso e puntuale come il treno delle sei. Wilson aprì un occhio, sentendo la guancia offesa formicolare leggermente.
«Convinto?»
Wilson si ributtò disteso. «Ora sì.» I ricordi – quelli veri, della vita reale – stavano tornando rapidamente. Cos’aveva mangiato a cena, cos’aveva fatto nel pomeriggio, e tutto il resto a ritroso. Sospirò, sollevato. Si sentiva ancora soffocare al pensiero di non riuscire a svegliarsi.
«Che hai sognato?»
Wilson chiuse gli occhi, il dorso della mano sulla fronte. «È cominciato come un sogno erotico.»
«Questo non è male.»
«Eravamo in tre.»
«C’ero pure io? Ancora meglio. Chi era l’altro?»
«Ora te lo dico. Poi mi sono svegliato.»
«Questo è un peccato.»
«Mi sono svegliato, ma non ero sveglio davvero. Era un altro sogno. Un altro sogno erotico.»
«Wow. Ti sei dato da fare, stanotte.»
«E la cosa più assurda», continuò Wilson, la voce vagamente angosciata e qualche tono più alta del normale, «è che saprei descrivertelo in ogni dettaglio. Saprei dirti quanto era alto, le sfumature di colore dei suoi occhi, come camminava e quanti nei aveva sulla schiena. Tutto. Ma non ho idea di chi sia questo Gregory House!»
David scrollò le spalle e poi si accoccolò accanto al fratello, appoggiandogli la guancia sulla spalla. «Sarà uno che hai visto di sfuggita una volta, o un vecchio compagno di scuola. Hai messo insieme un po’ di cose e la tua mente ha fatto il resto.» Sbadigliò. «Buonanotte, Jimmy.»
«Buonanotte, Dave.»
Ma non riuscì a riaddormentarsi.
Nota: L'ispirazione di questa fantasia malata è interamente dovuta a questo disegno della mia puccia
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