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Titolo: Lo spiacevole caso di Mr. William Blackbourne (1/2)
Fandom: Sherlock Holmes
Pairing: Watson/OC, Holmes/Watson
Rating: NC-17
Conteggio Parole: 11.883 (W)
Prompt: Vedi in fondo alla seconda parte @ P0rn Fest #2 (
fanfic_italia)
Note: Nella fic c'è un anacronismo piuttosto significativo ma funzionale alla trama: nel 1883 lo Strand Magazine non esisteva ancora, essendo stato fondato nel 1891. Ah, e sappiate che a Watson sarebbe venuto un embolo a scrivere la metà di queste porcherie.
Ringraziamenti: Mille cuori per
juliettesaito e
sourcream_onion che mi hanno sopportato con pazienza da crocerossine per tutto il tempo, alitandomi vittorianamente sul collo e minacciandomi gentilmente di morte a seconda della bisogna. ♥ ♥ ♥
Parte 1
Nella mia stanza accesi la lampada e tirai le tende. Non riuscivo neppure a immaginare cosa Holmes avesse in mente, ma la mia finestra dava sulla strada e il secondo piano non era talmente alto che non vi si potesse spiare dentro.
Sedetti sul letto in preda a una forte emozione. Sentivo ancora sui vestiti, leggero ma persistente, il profumo di William Blackbourne; improvvisamente desiderai spogliarmene al più presto e cancellare ogni traccia percepibile di quell’incontro, ma Holmes non aveva detto nulla in proposito.
Sentii i suoi passi salire le scale e poi fermarsi di fronte alla mia porta. “Spegni la luce” disse da fuori, aprendola di uno spiraglio appena.
Nel buio completo, aguzzai l’udito per seguire i movimenti di Holmes, che si richiudeva la porta alle spalle e vi si fermava davanti, senza avvicinarsi oltre.
“Mi ami?”
Rimasi senza parole per un attimo. “Holmes, che razza di domanda è?”
“Una domanda semplice. La risposta è un sì o un no.”
“Ma…” Deglutii. “Conosci già la risposta. Sono innamorato di te come un imbecille, e mi comporto di conseguenza.”
“Questo è un ragionamento estremamente interessante. Non avevo mai considerato a fondo il legame tra il sentimento d’amore e l’idiozia. È una connessione lampante, a pensarci.”
“Holmes…” Mi alzai, incapace di restare fermo ancora un istante. “Per favore, spiegami che cosa stiamo facendo.”
“Ho ogni intenzione di mettere alla prova la tua affermazione. La tua parte nella faccenda, va da sé, è essenziale.”
“Un’altra prova? Holmes, davvero…”
“Questa volta si svolgerà senza sotterfugi di sorta, con la tua piena consapevolezza dei termini e il tuo consenso, se me lo accorderai. Nessun inganno. ‘Prova’ è un termine inutilmente drammatico; ‘esperimento’ mi pare più adatto.”
Non dissi che ‘esperimento’ mi confortava ben poco, perché aveva una connotazione disumana. Holmes l’avrebbe probabilmente considerato un pregio.
“Spiegati, per favore.”
Holmes fece un passo nella mia direzione. “Tu hai ragione: non mi fido di te. Metterei la mia vita nelle tue mani senza esitare, ma non riesco a credere che un uomo come te abbia scelto di rinunciare alle infinite possibilità offerte dal consesso umano per dedicarsi unicamente al sottoscritto. Non è sensato.”
“Che significa ‘un uomo come te’?”
“Aperto, generoso, di buon cuore. Affascinante, paziente, discreto. Eccezionalmente attraente.”
Arrossii, protetto dall’oscurità. “Holmes, io…”
“Per non parlare della tua cultura e delle tue doti letterarie, benché queste ultime abbiano un’infelice tendenza al patetico. Sei metodico e intelligente, e anche se non sarai mai un bravo investigatore, non c’è nessun’altra occupazione in cui, dato un adeguato tirocinio, io non ti veda coronato del più ampio successo.” Fece un pausa. “Perché tu debba scegliere di restare con me piuttosto che trovarti una persona che sappia apprezzare tutte queste qualità, lo vedi tu stesso, è un mistero.”
“Holmes…”
“Tuttavia tu dici di essere innamorato di me, e a torto o ragione deve essere quello che pensi, perché non sai mentire. Ti prego di non dubitare: ti credo ciecamente. Ma non è abbastanza per me, Watson. Non è neanche lontanamente abbastanza. Mi dispiace se questo risulta offensivo alle tue orecchie; è la maniera in cui sono fatto, e non c’è verso di cambiarla.”
Si avvicinò così tanto che le sue ginocchia sfiorarono quasi le mie. Tesi una mano alla cieca per toccare la sua, ma Holmes, non so come, la ritrasse in tempo; sentii lo spostamento d’aria fredda intorno alle dita.
“In base all’esito di questo esperimento, avrai la mia fiducia per intero o i nostri rapporti più intimi cesseranno completamente. Sono desolato di porti la questione in maniera tanto sgradevole, ma devo avvertirti che, se rifiuterai di sottoporti, i nostri rapporti cesseranno comunque. È tremendamente scorretto da parte mia, ma non posso permettermi condizioni diverse da queste.”
Presi un respiro. Non avevo la minima idea di cosa Holmes si aspettasse da me, ma se era un problema di fiducia, gli avrei dimostrato che la mia era incrollabile.
“Se è l’unica possibilità che ho di riguadagnarmi il tuo rispetto, accetto senza neppure sapere di cosa si tratta. Dimmi che cosa devo fare.”
Ero disperato dal desiderio di toccarlo, desiderio che il buio nutriva e accresceva di secondo in secondo. Tesi di nuovo la mano, e stavolta Holmes si lasciò trovare.
“Qualsiasi cosa” gli rammentai con l’emozione nella voce, baciandogli le punte delle dita.
“Voglio che tu abbia un rapporto sessuale con William Blackbourne. Stanotte, se per te è comodo.”
Dovevo aver compreso male, certamente. Lo pregai di ripetere.
“Non capisco.”
“Quale parte della frase? Mi sembra che la nozione di ‘rapporto sessuale’ ti sia abbastanza familiare, se non altro data la tua laurea in medicina. ‘Stanotte’ è anch’esso un concetto di facile comprensione…”
“Non c’è nessun William Blackbourne. Tu sei William Blackbourne.”
“Questo è ragionevolmente vicino al vero.”
“Vuoi che io faccia l’amore con te?”
“No. E questa tua spiacevole tendenza a usare allocuzioni sentimentali degne di un romanzo d’appendice si manifesta sempre nei momenti meno opportuni.”
“Desolato di infastidirti con le mie improprietà lessicali” ribattei. “Vuoi che io abbia un rapporto sessuale con te?”
“Con William Blackbourne.”
“Con te mentre impersoni William Blackbourne?”
“Se così vogliamo.”
“Ma… ma perché? Che cosa vuoi dimostrare?”
“Ti prego di non farmi domande, Watson. Tutto ti sarà chiaro alla fine, stanne certo, e se dovesse ancora rimanerti qualche dubbio risponderò di buon grado. Ora però devo sapere se sei disposto a fare quello che ti chiedo. Prima che tu lo pensi, sappi che non è un gioco, per quanto ridicolo e grottesco possa sembrarti; non sono mai stato più serio in tutta la mia vita.”
Le sue dita si fecero strada tra i capelli sottili sulla mia tempia, affondando lentamente fino alle nocche. Tremavano leggermente. Non avevo mai visto le mani di Holmes tremare. Girai il volto per baciargli il palmo.
“Presumo che tu voglia da me che mi comporti come avrei fatto prima di scoprire che eravate la stessa persona?”
“Precisamente.”
“Come posso riuscirci, ora che lo so? Blackbourne non conta niente per me; tu sei tutto.”
“Ti aiuterò a dimenticarlo.”
“E vuoi che… Quanto in là vuoi che mi spinga?”
“Quanto in là saresti disposto a spingerti?”
Chiusi gli occhi. Non riuscivo a contemplare il pensiero.
“Holmes, le premesse sono interamente sbagliate. Semplicemente non l’avrei fatto. In quella carrozza…”
“Sì, sì” disse lui. “Le premesse erano marce fin dal principio; colpa mia. Watson, ti chiedo di agire come preferisci, nella maniera che più ti aggrada. Non c’è alcun limite.”
“Come…” esitai, “come farò a sapere se ho… superato questa tua prova?”
“Lo saprai quando sarà finita.”
Sentii lo scatto della chiave nella serratura e poi uno strofinio di stoffa, una giacca che veniva sfilata e poi gettata sul pavimento.
“Holmes, questa è la cosa più assurda che mi sia mai capitata, e dopo due anni in tua compagnia credevo di aver visto di tutto.”
Immaginai un sorriso nel buio. “Con il tuo permesso, dottore, possiamo cominciare?”
Inspirai. “Vuoi che mi alzi, o…”
“Lì dove sei andrà benissimo. Quando sei pronto.”
“Non credo che lo sarò mai. Adesso va bene.”
La prima cosa che percepii fu una mano tiepida sulla mia coscia, appena sopra il ginocchio: si appoggiò solo leggermente dapprima, poi con più forza, come per bilanciare l’equilibrio del corpo, e infine strinse la carne e sentii il pollice scorrere lentamente verso l’alto nel solco del quadricipite. Era sfacciato, ma non era il solito tocco di Holmes; questo si manteneva ai margini, ancora incerto, come in attesa del permesso. Io aspettai. L’altra mano si posò sulla mia spalla e percepii l’intero corpo di Holmes curvarsi verso di me, e poi le labbra appoggiarsi sullo stesso punto sulla mia gola che avevano baciato dentro la carrozza.
“È stato crudele da parte vostra lasciarmi in quella maniera, dottore” mormorò Holmes nel mio orecchio, e non era più Holmes, ma Blackbourne, per quanto malfatta e artificiosa mi paresse ora la sua voce.
Così come nella carrozza, la mia mano si sollevò da sola e sfiorò il gonfiore sullo zigomo. “Mi dispiace” gracchiai.
“Rilassatevi” bisbigliò, sbottonandomi il gilet. Lo aiutai goffamente a togliermelo. È ridicolo, pensai, tutto questo è ridicolo. “John…”
Non ricordavo una singola volta in cui Holmes mi avesse chiamato col mio nome. Che lo facesse adesso come Blackbourne mi parve un’insopportabile prevaricazione, ma non protestai. Risposi, per quanto assurdo suonasse alle mie orecchie: “William…”.
Blackbourne – giacché quello non era Holmes, non al momento – diede un mugolio d’approvazione contro la mia gola. “Rilassatevi” ripeté.
“Non…” Chiusi gli occhi, sentendo le sue dita inerpicarsi lungo l’interno della mia coscia e trovare i bottoni che già una volta avevano disfatto in pochi istanti. Questa volta li circuirono più piano, con un’ombra di incertezza che sapevo falsa ma mi parve allo stesso tempo del tutto convincente. “Non penso che dovremmo farlo” mormorai debolmente, a disagio.
“Non preoccupatevi di nulla. Mi occuperò io di ogni cosa” replicò il tentatore, prendendo la mia mano appoggiata sulle lenzuola e portandosela alla nuca. Spinsi le dita tra i capelli che sapevo lisci come seta, immaginandoli biondi, ma l’illusione si disfece in un istante quando Blackbourne applicò la punta della lingua al mio membro con quella lentezza e circospezione che erano il marchio di Holmes.
Spinsi le dita più a fondo, con un sospiro grato. “Amico mio…”
“Non pensate a lui” borbottò Blackbourne, irritato, baciando la base e i testicoli tra le due ali aperte dei pantaloni. Percorse con la lingua l’intera lunghezza, dischiudendo le labbra per accogliere la punta all’interno della sua bocca. Mi costrinsi a notare le differenze, l’assenza di una mano imperiosa sulla mia coscia che mi tenesse fermo contro il materasso, la sensazione trasgressiva ed eccitante di avere ancora tutti i vestiti addosso, la mancanza della cura estenuante e crudele di Holmes nell’esecuzione. Feci qualcosa che con Holmes non avevo mai fatto: premetti il palmo della mano sulla sua nuca, spingendogli il capo in basso, ad accogliere una parte maggiore del mio membro nella sua bocca. Blackbourne si lasciò guidare con grazia perfetta, senza la minima esitazione, come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Il pensiero mi mandò un brivido non spiacevole su per la spina dorsale.
“Sdraiatevi. Più su” disse Blackbourne, privandomi della sua bocca per il tempo necessario a spingermi disteso sul letto a suo piacimento, e poi ancora un istante mentre sentivo due corpi pesanti – le scarpe – rotolare sul pavimento. Mi raggiunse sul letto, aderendo col suo corpo al mio, ma neppure stavolta volle baciarmi la bocca. Succhiandomi appassionatamente la gola e poi ritraendosi giù lungo il mio corpo, aprì, sbottonò e baciò tutto ciò che trovò sul suo cammino e mi infilò le mani dentro i fianchi dei pantaloni, tirandoli giù fino alle cosce. Mi strinse le natiche, affondando le dita tra le fasce dei glutei, sollevandomi leggermente il bacino per incontrare il suo volto. Rimasi ancora una volta impotente sotto il suo tocco, che era deciso e rapace e sempre meno simile, nella mia mente annebbiata, a quello di Holmes.
Lo strofinio dei suoi vestiti contro i miei e la mia pelle nuda era piacevole, ma non per la prima volta dovetti concentrarmi per reprimere la sensazione di disagio che aveva iniziato a montare dentro di me nell’istante in cui avevo acconsentito. Restai immobile, cercando di ignorarla, ma come con un dente malato che la lingua non cessa di stuzzicare fino a che il dolore non si fa insopportabile, non potei fare a meno di infierire su me stesso e notare ancora altre differenze: la rapidità appassionata e grossolana, il fastidio delle dita che mi scavavano la carne, il completo silenzio nella stanza – poiché io non riuscivo a emettere suono – che amplificava ogni sorta di rumore.
Finii tra le sue labbra, troppo debole per oppormi nonostante il disagio fosse ormai diventato un macigno in mezzo al petto, che mi schiacciava contro le profondità del materasso. Blackbourne rialzò il capo con un sospiro leggero, di cui non seppi decifrare il sentimento, poi mi sfilò con metodo tutto ciò che indossavo dalla vita in giù, passando le mani sulle mie cosce infreddolite come per riscaldarle.
“Mettetevi sotto le coperte” mormorò, aiutandomi, e poi mi raggiunse con ancora tutti i vestiti addosso. Gli presi il volto tra le mani ma mi evitò per la terza volta, piegandosi invece a baciarmi il lobo dell’orecchio e da lì discendere sulla giugulare, che pulsava furiosamente. La sua mano mi scivolò sul fianco, evitò la mia virilità spenta e mi spostò invece di lato una coscia, con fermezza. Le dita si spinsero tra le mie natiche, separandole e cercandovi in mezzo.
Mi irrigidii. “Non…”
“Va tutto bene” mormorò Blackbourne nel mio orecchio, squisitamente dolce. Mi accarezzò con calma, circuendo l’apertura a piccoli tocchi, fino a che non allargai le gambe di mia volontà. Holmes, dovunque fosse, rimase in perfetto silenzio. Il macigno che mi schiacciava parve sviluppare un improvviso spuntone, e premermelo sul cuore.
“Così” bisbigliò Blackbourne, baciandomi la cresta dell’orecchio, e intanto massaggiandomi delicatamente con la punta di un dito. “Sono tremendamente innamorato di te” disse ancora più piano, la sua voce e quella di Holmes fuse in un bisbiglio indistinguibile. “Tremendamente.”
Il dolore si fece insopportabile.
“Basta. Fermati. Per favore.”
Blackbourne obbedì. “Qualcosa non va?” domandò.
“Al diavolo. Al diavolo.” Mi voltai sul fianco, strisciando verso la metà libera del letto, fredda come una tomba. Mi premetti le dita sugli occhi, scatenando una tempesta di colori dietro le palpebre chiuse.
Lui non si mosse.
“Non posso farlo, Holmes. Non me lo puoi chiedere. Non ce la faccio. Come puoi dirmi queste cose, sapendo che io… che io…”
Holmes mi interruppe bruscamente: “Se il problema è la sodomia, credo che tu possa fidarti che non ho intenzione di sottoporti a un’esperienza che potresti non…”
“La sodomia non è affatto il problema!” replicai, forse troppo forte, perché la mano di Holmes corse a coprirmi la bocca. La scansai con rabbia. “Farò quello che vuoi, qualsiasi cosa tu voglia, ma ti prego…” mi si incrinò la voce, “ti prego, Holmes, di cessare questa storia di Blackbourne adesso. Non posso farlo. Ascoltarti professare false dichiarazioni mentre impersoni un altro è più di quanto… Dio mio, Holmes, non hai un briciolo di pietà?”
Pensai che non mi ero mai sentito più infelice in tutta la mia vita, neppure quando avevo creduto che sarei morto sul campo di battaglia a Maiwand. Appoggiai i gomiti sulle ginocchia, coprendomi la faccia con le mani.
“Sto meditando di ritirare qualsiasi complimento alla tua intelligenza mi sia mai uscito dalle labbra.”
“Sì, bene, come preferisci” risposi. “Ho già il tuo disprezzo; non potrà essere peggio di così.”
“Oh, per l’amor del cielo” sbottò Holmes. “Sdraiati.”
“Non ti sarò utile a nulla, per stanotte. Farai meglio ad andare a dormire.”
“Ho detto” ripeté Holmes, appoggiandomi una mano energica sulla spalla, “Watson, sdraiati. Adesso, se non ti dispiace.”
Mi lasciai spingere contro il cuscino e voltare sul fianco. Un braccio di Holmes mi passò intorno alle spalle, piegandosi per appoggiare il palmo sul mio cuore; l’altro mi strinse alla vita. Con la destra afferrò la mia mano, trovandola gelida, e iniziò a massaggiarla tra le dita.
“Sono tremendamente, disperatamente innamorato di te” disse piano. “E non posso credere di aver perso la ragione per un simile idiota. Davvero, Watson, da come parlavi credevo che l’avessi capito molto, molto tempo fa.”
Mi voltai nel suo abbraccio, senza parole come un imbecille. “Da cosa l’avrei dovuto capire?” riuscii a domandare infine.
“Ogni sorta di cose, se solo avessi guardato con attenzione.”
“Nominane una.”
“Non riesco a prendere sonno se non ti sei addormentato per primo.”
“Cos’altro?”
“Watson…”
“Ti prego.”
Holmes sospirò. “Passo una quantità di tempo del tutto esagerata a guardarti. Mi piace averti vicino anche quando non mi sei di alcuna utilità. Ho seri problemi a tenere le mani lontane dal tuo corpo, indipendentemente dall’ora del giorno o della notte. Preferisco averti nel mio letto, anche se è più rischioso, perché così non mi sentirò in obbligo di andarmene quando abbiamo finito, ed è più facile convincerti a rimanere.”
Gli cercai la guancia con le dita, sentendo il dolore svanire lentamente dal petto. Holmes continuò:
“Ti ho concesso cose che non ho mai concesso a nessun altro. Mi sono reso vulnerabile ai tuoi occhi come non ho mai fatto con nessuno. Hai accesso a zone del mio cuore che non credevo neppure di possedere; e invece non solo esistono, ma sembra abbiano sviluppato una vita propria e un tremendo potere sulla mia mente. In questi giorni non riuscivo a pensare chiaramente. Ogni volta che sorridevi a me credendo che fossi lui, avrei voluto cancellarlo dalla faccia della terra. Hai mai sentito nulla di più irrazionale, risibile, infantile…”
“No” assentii. “No, Holmes, non ho mai sentito niente più insensato in tutta la mia vita.” Appoggiai le labbra, con tutta la delicatezza possibile, sul suo zigomo violentato. “Ti amo.”
“Ah, questo merita almeno un secondo posto” mormorò Holmes.
Lo attirai a me per un bacio e stavolta mi venne incontro con entusiasmo. Passandogli le braccia intorno alle spalle, lo assaporai come se fosse il primo, o l’ultimo, e credo che il mio cuore tremò di una gioia a stento repressa quando Holmes emise un rumore leggero nella mia bocca e si tese appassionatamente verso di me.
“Troppo tempo…”
“Da quanto…”
Ci parlammo addosso per un istante, poi risolvemmo di smettere di parlare del tutto. Sbottonai ansiosamente il panciotto di Holmes, gli sfilai i gemelli (uno dei quali si perdette per sempre tra le assi del pavimento) e la camicia, accompagnando la stoffa con le mani mentre la sfilavo dalle sue spalle. Le spalle di Holmes non sono larghe né imponenti; sono anzi piuttosto magre come il resto della sua figura, ma i trascorsi da boxeur e da schermidore le hanno nondimeno scolpite in due ali di muscoli perfettamente definiti. Li accarezzai sotto le dita per un momento, poi mi spostai verso la sponda del letto.
“Watson?”
“Solo un istante. Lasciami accendere la luce.” Trovai a tentoni i fiammiferi nel cassetto e riuscii a riaccendere la lampada, regolandola perché la fiamma fosse bassa e illuminasse appena la stanza di un chiarore soffuso. Osservai le pupille di Holmes restringersi rapidamente, il grigio invadere lo spazio dei suoi occhi e scintillare di un bagliore solo in parte dovuto al riflesso della lampada. Aprii le braccia, e Holmes mi abbracciò e mi schiacciò con un sospiro sollevato sotto il peso del suo corpo.
“Così va meglio” mormorai, accarezzandogli il torace. Holmes era spettinato e in disordine e il suo sguardo aveva un che di selvaggio, non più freddamente analitico; il suo torace, pallido e quasi glabro, avrebbe destato l’interesse di qualunque essere umano che non fosse completamente cieco o demente.
“Quando avrai terminato di valutare la bontà del tuo acquisto, Watson, sappi che io sto aspettando.”
“Amico mio” replicai, “il mio acquisto ha un valore inestimabile, e il mio sguardo era di pura e semplice ammirazione.” Circondai la sua vita con un braccio, rivoltandolo disteso sulla schiena e approfittando della momentanea sorpresa per rubargli un altro bacio, più lento e appassionato.
“Devo dissentire dalla tua teoria che l’ammirazione sia un fatto razionale. Nessun fatto razionale mi ha mai procurato questo genere di reazioni.”
“Solo perché non hai mai imparato la fine arte di osservare i polsini delle camicie.”
“I polsini ti procurano questo genere di reazioni, Holmes?” Gli sbottonai i calzoni. “Sento che dovrei considerarmi offeso.”
“Perché mai? Tu sei molto più interessante di un polsino” mormorò Holmes.
“Grazie a Dio.”
“Le macchie di fango sui pantaloni, d’altra parte…”
Gli chiusi la bocca molto efficacemente con la mia e lo presi nella mia mano. Sentii un mugolio vibrare nella gola di Holmes e le sue dita attaccarmi i polsi alla cieca, sfilando i gemelli e lasciandoli cadere – lanciandoli, quasi – sul comodino. Mi sfilò la cravatta che pendeva lenta intorno al collo, e dopo di essa il resto del mio vestiario. Riaprii gli occhi; le guance di Holmes erano di una decisa tinta rosata che il suo incarnato pallido concedeva raramente.
“Holmes…”
“Watson” rispose, prendendomi il volto tra le mani. Mi baciò l’angolo della bocca. “O forse preferisci ‘John’? Ammetto che il pensiero non mi era mai passato per la mente, prima.”
“Non ho preferenze” sorrisi.
“Watson, allora.” Spostò una mano in basso, tra i nostri corpi. “Mio Watson. Ah, così va meglio…”
“Apri il cassetto, ti dispiace?” domandai con un leggero tremito nella voce.
Holmes si allungò verso il comodino e obbedì alla richiesta inespressa, recuperando il piccolo vaso di pomata dalle profondità del cassetto dopo diversi secondi di affannosa ricerca. Tolse il coperchio e me lo offrì, facendo per spostarsi di lato. Gli strinsi un braccio, guadagnandomi uno sguardo interrogativo.
“Dovrai concedermi un secondo per togliermi i pantaloni, Watson.”
“Non è necessario.”
“Dottore, sono certo che sodomizzare il proprio compagno abbassandogli i calzoni alle caviglie avesse un innegabile fascino nella generale brutalità dell’esercito, ma qui, in un letto come si deve, è più scomodo che…” Gli presi la mano, spingendo le punte delle sue dita a raccogliere un po’ di pomata dal vasetto. “Oh.”
“È da diverso tempo che… Dovrai avere un po’ di pazienza” spiegai, facendogli spazio. “Sempre che l’idea ti aggradi” aggiunsi, piuttosto in fretta.
“Non hai bisogno di chiedermelo” mormorò Holmes, come rapito per un istante. Le lenzuola si erano disperse in un grumo scompigliato intorno alle nostre ginocchia, ma Holmes si dispose con relativa facilità in una posizione comoda per entrambi e si sollevò su un gomito.
“Vuoi che spenga la luce?”
“No.” Socchiusi gli occhi, irrigidendomi e poi costringendomi a rilassarmi immediatamente sotto il suo tocco. “Ti assicuro, Holmes… sono tutto meno che una sposina alla sua prima notte di nozze.”
“Non ne ho mai dubitato neanche per un momento. Ma non credevo che l’idea ti attirasse.”
“Non credevo che l’idea attirasse te.”
“Che sciocchezza.” Si chinò a prendere tra le labbra il mio capezzolo, che stava tormentando sotto il pollice da quasi un minuto, e la mia mano si mosse verso i suoi capelli, stringendo le ciocche più lunghe sulla nuca. Il respiro mi mancò per un attimo quando le sue dita corressero leggermente l’angolazione per massaggiare la mia prostata; mi mossi incontro a lui per assecondare il movimento, e sentii i denti di Holmes graffiarmi la pelle e un ansimo rumoroso sfuggirmi dalle labbra. Gli serrai le ciocche tra le dita, attirandolo verso la mia bocca per un bacio.
“Sembrava che… il contrario avesse la tua totale preferenza” mormorai sulle sue labbra. “Non che abbia mai inteso lamentarmi. Eri… Sei… Non ho mai provato nulla del genere.”
“Sono felice di sentirlo. Molto felice.”
Lo sembrava davvero, più felice di come l’avessi mai visto. Lo baciai di nuovo, improvvisamente in bilico, in preda a un vago senso di vertigine.
“Holmes…”
“Quanto alla mia preferenza, dovresti sapere che non mi piace lasciare nulla di intentato” mormorò Holmes, con voce roca.
“Holmes, per favore.”
“Non ancora.”
“Holmes” ripetei per la terza volta, il respiro difficoltoso. “Smetti di tormentarmi, per l’amor del cielo.”
“Non penso che lo farò” rispose lui, ma mentre lo diceva applicò con calma un’altra generosa dose di pomata sul suo membro, poi si posizionò tra le mie gambe e mi penetrò con cautela, aiutandosi con una mano.
Non ci fu spazio per altre parole. Era passato diverso tempo dall’ultima volta in cui ero stato il destinatario di questo genere di attenzioni, ma Holmes vinse ogni resistenza del mio corpo con pazienza e decisione. Non l’avevo mai visto più forte, più dedito, più appassionato. Se il mio corpo fosse stato una delle sue indagini, dall’espressione del suo volto l’avrei detta la più avvincente ed eccitante della sua intera vita.
Quella notte mi dichiarai suo più volte di quante possa ricordare, con parole che non ripeterò ma che Holmes – ne ho avuto prova nel corso degli anni – rammenta molto meglio di me; alcune si prestano perfettamente all’ironia occasionale del mio amico, altre, ancor meno adatte alla conversazione civile, sono archiviate nella sua memoria perfetta come un codice da citare solo in casi di straordinaria intensità.
Perfino adesso che cinque anni e più sono passati da quella data, talvolta ho un brivido nel ricordare il proseguo della nottata, e come alla fine mi spensi in un sonno spossato senza più un’oncia di energia nel corpo.
Holmes, fedele alla sua parola, era ancora sveglio quando mi addormentai. C’era l’odore del suo tabacco nell’aria e ghirigori di fumo aleggiavano pigramente intorno al letto. Mormorai che non ricordavo se la porta fosse chiusa a chiave e poi qualcos’altro su Mrs. Hudson, e subito dopo il sonno mi reclamò con la risata leggera di Holmes nelle orecchie.
+
Mi destai, non per la prima volta, da solo nel mio letto. Meditai per un attimo di dubitare della realtà degli ultimi avvenimenti (l’ultima notte, l’ultimo giorno, o, a scelta, l’intero affaire Blackbourne), ma i vestiti di Sherlock Holmes erano sparsi sul pavimento della mia stanza, e tra di essi riconobbi una cravatta che era stata del mio eccentrico ammiratore. Cercai la mia vestaglia, ma inutilmente, e infine mi rassegnai a scendere in salotto con il solo pigiama addosso.
Holmes era seduto in poltrona con la prima pipa della giornata. Il camino era acceso, ma non da molto: l’aria era ancora gelida.
“Per combinazione hai notizie della mia vestaglia, Holmes?” domandai.
Il mio amico parve riscuotersi da una profonda meditazione. “Desolato, dottore. Troverai la tua vestaglia nella mia camera da letto.”
Andai a recuperare l’indumento rubato, poi tornai in salotto. Holmes aveva un lampo divertito nello sguardo.
“Mi domando come sia potuto venire, alla mia vestaglia, l’improvviso desiderio di migrare verso la tua camera” annunciai sedendomi cautamente sul bracciolo della sua poltrona.
“È presto detto” rispose Holmes, aggiustandomi il colletto del pigiama con due dita. “Avevo necessità di raggiungere il piano inferiore e non mi è parso conveniente farlo in completa nudità. Ho preso quindi in prestito la tua vestaglia, confidando che tu avessi qualcos’altro a disposizione nella tua stanza per coprire l’opera di Madre Natura.”
“Perché non mi hai svegliato? Sarei sceso a prendere i tuoi vestiti.”
“Non mi è parso il caso. Avevi un’aria particolarmente beata.”
Mi chinai verso di lui per un bacio, che Holmes ricambiò senza esitazioni. Le sue dita scivolarono dentro la mia vestaglia e mi si posarono sul fianco.
“Ho incontrato Mrs. Hudson mentre risalivo le scale” disse Holmes.
“Sì? Che cosa… Aspetta, che ore sono?”
“Le nove passate.”
Lo guardai. “Holmes, ti prego, dimmi che non hai incontrato la nostra padrona di casa completamente nudo salvo per la mia vestaglia addosso?”
Holmes sorrise lentamente. Sentii un brivido gelido risalirmi la schiena.
“Holmes…”
“A quel punto la tua vestaglia era già in salvo nella mia stanza e avevo indossato qualcosa” ammise candidamente.
Pensai che doveva essere d’umore eccezionalmente allegro, quella mattina: in tempi normali mi avrebbe torturato per almeno altri dieci secondi prima di dirmi la verità.
“Ah, sì, mi ha domandato del livido. Naturalmente le ho detto che sei stato tu.”
“Holmes! Ma…”
“Se può consolarti, ho aggiunto molto onestamente di essermelo meritato. Di certo non ti aspetterai che menta alla cara Mrs. Hudson?”
“Non c’era alcuna necessità di farmi passare per un violento che alza le mani sul suo migliore amico.”
“Hai ragione, è stato crudele da parte mia. Avrei dovuto dirle la verità, mi chiedo? Non ti avrebbe creduto un violento, ma d’altra parte non avrebbe più creduto me il tuo migliore amico.”
“Holmes…” Mi passai una mano sulla faccia. “Lasciamo stare. Non ho voglia di iniziare un’altra giornata litigando con te; ieri è stato più che… Cosa? Che cosa c’è?” Holmes ridacchiava sommessamente guardando il fuoco, le spalle che si alzavano e abbassavano appena nei piccoli spasmi di ilarità. “Non l’hai fatto. Mi stai prendendo in giro.”
“Scusami, amico mio, sono imperdonabile” confessò Holmes, appoggiandomi una mano sulla coscia. “Credo di non poter resistere quando hai quell’espressione sulla faccia.”
Sospirai, irritato. “Tu, amico mio, sei la creatura più insopportabile che Dio abbia mai messo sul mio cammino. E mi sento in dovere di informarti che da ragazzo ho avuto un cane da caccia tremendamente viziato e insofferente al collare.”
“Sono certo che solo tu avessi il potere di ammansirlo con la semplice promessa di una carezza” replicò lui, stuzzicando in maniera del tutto indecente il mio ginocchio. “Non c’è creatura al mondo, essere umano o canide che sia, che non si metterebbe in fila ai tuoi piedi.”
“Purtroppo sono estremamente avaro di queste attenzioni” replicai con un sorriso, già rabbonito. “Temo che la fila dovrà tornare a casa delusa.”
Holmes sorrise a sua volta, ma con un’ombra di tristezza; durò solo un attimo, ma fui comunque in grado di notarla.
“Holmes” lo chiamai piano, sfiorandogli la guancia con le dita. “Ascoltami. Qualunque cosa tu avessi in mente ieri notte con… quell’esperimento che mi hai proposto, spero che la prova ti abbia dimostrato – in qualche bizzarra maniera la cui logica momentaneamente mi sfugge – che la mia persona ti appartiene completamente, e che la sola idea di…”
“Sì, sì” mormorò Holmes. “Perdonami, devo esserti sembrato completamente fuori di me. Lo ero. Te l’ho detto, non riuscivo a pensare chiaramente.”
“Che cosa volevi dimostrare?”
“Dimostrare, nulla. Volevo… Dopo ciò che mi hai detto, e lo spiacevole incidente nella carrozza, ho riflettuto che l’unico modo per determinare se potevo davvero accordarti l’interezza del mio cuore era osservarti a letto con un altro – uno con cui non avessi alcun legame sentimentale, bada bene – e trarre le mie conclusioni. Allo stesso tempo, però, non potevo permettere che una cosa del genere accadesse davvero. Non sarei stato in grado di garantire per l’incolumità fisica della persona in questione.”
“Amico mio…” iniziai.
“Avrei corretto mentalmente certe discrepanze nel tuo comportamento, dovute al fatto che si trattava di un’approssimazione, come si fa con certe leggi di chimica ricavate sublimando a un livello di perfezione teorica i gas imperfetti che esistono in natura.”
“Holmes, è assurdo. Non puoi pensare di mettere l’animo umano in una provetta e misurarne i componenti come faresti con il fango delle strade di Londra.”
“Assurdo, certamente” mormorò Holmes, senza guardarmi. “Eppure ti assicuro che ho ragionato sulla cosa per almeno trenta minuti abbondanti, attaccandola da ogni lato e trovandola del tutto confacente. Tutto a riprova del fatto che non si dovrebbe permettere a un uomo annebbiato dalle proprie emozioni di prendere decisioni, suppongo.”
“Per quanto assurda e…”, cambiai posizione sul bracciolo, che iniziava a diventare un appoggio alquanto scomodo, “…annebbiata sia stata questa idea, sono felice che tu l’abbia avuta, se ha prodotto i risultati sperati.” Sorrisi. “Devo solo rammaricarmi che la mia amicizia con Mr. William Blackbourne sia finita così presto. Mi dicono che il gentiluomo è scomparso questa notte in circostanze del tutto misteriose.”
“Davvero? Che fatto curioso” replicò Holmes, lasciando che le sue dita si avventurassero sotto l’orlo della mia vestaglia. “In circostanze misteriose, dici? Qual è l’ultimo luogo in cui è stato visto?”
“La mia camera da letto” risposi, avvertendo un improvviso afflusso di sangue alle guance.
“Forse potrei indagare.”
“Ti prego di non farlo. La scomparsa di Mr. Blackbourne, mi dicono, è del tutto irreversibile.”
“Così sono stato informato anch’io. Ciò nondimeno, credo che la coscienza mi obblighi quantomeno ad esaminare il luogo della sua scomparsa. In quale parte della stanza è stato visto per l’ultima volta?” Sono fermamente convinto che le sue dita, per non parlare della sua voce, potrebbero costringermi a fare qualsiasi cosa al mondo.
“Sono… abbastanza certo che fosse il mio letto” risposi, fingendo di pensare per un istante.
“Allora direi di non…”
Un tintinnio di porcellana dal fondo delle scale mi mise in allarme. Holmes ritirò il volto dall’incavo del mio collo, con aria placida.
“Ah, dimenticavo” disse. “Mi aspettavo che ti alzassi da un minuto all’altro e ho detto a Mrs. Hudson di preparare la colazione.”
“E quando me l’avresti detto, mi domando?”
“Per allora, miravo ad averti già felicemente svestito perlomeno degli strati superiori del tuo abbigliamento.”
“Holmes, in fede mia, tu…”
Si udì bussare dolcemente ma con decisione alla porta, e poi la voce sottile di Mrs. Hudson domandò se poteva entrare.
“Avanti, avanti” rispose Holmes ad alta voce, mentre mi ritiravo rapidamente per le scale che conducevano alla mia camera. Non avrebbe giovato a nessuno, e certamente non alla nostra padrona di casa, trovarmi in pigiama e vestaglia, le guance arrossate e la maglia sbottonata fino allo sterno, pensai richiudendomi alle spalle – ma non a chiave – la porta della mia stanza.
Avevo appena terminato di sfilarmi la maglia dalla testa, quando sentii i passi di Holmes in fondo alle scale.
+
Il prompt al P0rn Fest era: Sherlock Holmes, Holmes/Watson, travestimento.
Fandom: Sherlock Holmes
Pairing: Watson/OC, Holmes/Watson
Rating: NC-17
Conteggio Parole: 11.883 (W)
Prompt: Vedi in fondo alla seconda parte @ P0rn Fest #2 (
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Note: Nella fic c'è un anacronismo piuttosto significativo ma funzionale alla trama: nel 1883 lo Strand Magazine non esisteva ancora, essendo stato fondato nel 1891. Ah, e sappiate che a Watson sarebbe venuto un embolo a scrivere la metà di queste porcherie.
Ringraziamenti: Mille cuori per
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Parte 1
Nella mia stanza accesi la lampada e tirai le tende. Non riuscivo neppure a immaginare cosa Holmes avesse in mente, ma la mia finestra dava sulla strada e il secondo piano non era talmente alto che non vi si potesse spiare dentro.
Sedetti sul letto in preda a una forte emozione. Sentivo ancora sui vestiti, leggero ma persistente, il profumo di William Blackbourne; improvvisamente desiderai spogliarmene al più presto e cancellare ogni traccia percepibile di quell’incontro, ma Holmes non aveva detto nulla in proposito.
Sentii i suoi passi salire le scale e poi fermarsi di fronte alla mia porta. “Spegni la luce” disse da fuori, aprendola di uno spiraglio appena.
Nel buio completo, aguzzai l’udito per seguire i movimenti di Holmes, che si richiudeva la porta alle spalle e vi si fermava davanti, senza avvicinarsi oltre.
“Mi ami?”
Rimasi senza parole per un attimo. “Holmes, che razza di domanda è?”
“Una domanda semplice. La risposta è un sì o un no.”
“Ma…” Deglutii. “Conosci già la risposta. Sono innamorato di te come un imbecille, e mi comporto di conseguenza.”
“Questo è un ragionamento estremamente interessante. Non avevo mai considerato a fondo il legame tra il sentimento d’amore e l’idiozia. È una connessione lampante, a pensarci.”
“Holmes…” Mi alzai, incapace di restare fermo ancora un istante. “Per favore, spiegami che cosa stiamo facendo.”
“Ho ogni intenzione di mettere alla prova la tua affermazione. La tua parte nella faccenda, va da sé, è essenziale.”
“Un’altra prova? Holmes, davvero…”
“Questa volta si svolgerà senza sotterfugi di sorta, con la tua piena consapevolezza dei termini e il tuo consenso, se me lo accorderai. Nessun inganno. ‘Prova’ è un termine inutilmente drammatico; ‘esperimento’ mi pare più adatto.”
Non dissi che ‘esperimento’ mi confortava ben poco, perché aveva una connotazione disumana. Holmes l’avrebbe probabilmente considerato un pregio.
“Spiegati, per favore.”
Holmes fece un passo nella mia direzione. “Tu hai ragione: non mi fido di te. Metterei la mia vita nelle tue mani senza esitare, ma non riesco a credere che un uomo come te abbia scelto di rinunciare alle infinite possibilità offerte dal consesso umano per dedicarsi unicamente al sottoscritto. Non è sensato.”
“Che significa ‘un uomo come te’?”
“Aperto, generoso, di buon cuore. Affascinante, paziente, discreto. Eccezionalmente attraente.”
Arrossii, protetto dall’oscurità. “Holmes, io…”
“Per non parlare della tua cultura e delle tue doti letterarie, benché queste ultime abbiano un’infelice tendenza al patetico. Sei metodico e intelligente, e anche se non sarai mai un bravo investigatore, non c’è nessun’altra occupazione in cui, dato un adeguato tirocinio, io non ti veda coronato del più ampio successo.” Fece un pausa. “Perché tu debba scegliere di restare con me piuttosto che trovarti una persona che sappia apprezzare tutte queste qualità, lo vedi tu stesso, è un mistero.”
“Holmes…”
“Tuttavia tu dici di essere innamorato di me, e a torto o ragione deve essere quello che pensi, perché non sai mentire. Ti prego di non dubitare: ti credo ciecamente. Ma non è abbastanza per me, Watson. Non è neanche lontanamente abbastanza. Mi dispiace se questo risulta offensivo alle tue orecchie; è la maniera in cui sono fatto, e non c’è verso di cambiarla.”
Si avvicinò così tanto che le sue ginocchia sfiorarono quasi le mie. Tesi una mano alla cieca per toccare la sua, ma Holmes, non so come, la ritrasse in tempo; sentii lo spostamento d’aria fredda intorno alle dita.
“In base all’esito di questo esperimento, avrai la mia fiducia per intero o i nostri rapporti più intimi cesseranno completamente. Sono desolato di porti la questione in maniera tanto sgradevole, ma devo avvertirti che, se rifiuterai di sottoporti, i nostri rapporti cesseranno comunque. È tremendamente scorretto da parte mia, ma non posso permettermi condizioni diverse da queste.”
Presi un respiro. Non avevo la minima idea di cosa Holmes si aspettasse da me, ma se era un problema di fiducia, gli avrei dimostrato che la mia era incrollabile.
“Se è l’unica possibilità che ho di riguadagnarmi il tuo rispetto, accetto senza neppure sapere di cosa si tratta. Dimmi che cosa devo fare.”
Ero disperato dal desiderio di toccarlo, desiderio che il buio nutriva e accresceva di secondo in secondo. Tesi di nuovo la mano, e stavolta Holmes si lasciò trovare.
“Qualsiasi cosa” gli rammentai con l’emozione nella voce, baciandogli le punte delle dita.
“Voglio che tu abbia un rapporto sessuale con William Blackbourne. Stanotte, se per te è comodo.”
Dovevo aver compreso male, certamente. Lo pregai di ripetere.
“Non capisco.”
“Quale parte della frase? Mi sembra che la nozione di ‘rapporto sessuale’ ti sia abbastanza familiare, se non altro data la tua laurea in medicina. ‘Stanotte’ è anch’esso un concetto di facile comprensione…”
“Non c’è nessun William Blackbourne. Tu sei William Blackbourne.”
“Questo è ragionevolmente vicino al vero.”
“Vuoi che io faccia l’amore con te?”
“No. E questa tua spiacevole tendenza a usare allocuzioni sentimentali degne di un romanzo d’appendice si manifesta sempre nei momenti meno opportuni.”
“Desolato di infastidirti con le mie improprietà lessicali” ribattei. “Vuoi che io abbia un rapporto sessuale con te?”
“Con William Blackbourne.”
“Con te mentre impersoni William Blackbourne?”
“Se così vogliamo.”
“Ma… ma perché? Che cosa vuoi dimostrare?”
“Ti prego di non farmi domande, Watson. Tutto ti sarà chiaro alla fine, stanne certo, e se dovesse ancora rimanerti qualche dubbio risponderò di buon grado. Ora però devo sapere se sei disposto a fare quello che ti chiedo. Prima che tu lo pensi, sappi che non è un gioco, per quanto ridicolo e grottesco possa sembrarti; non sono mai stato più serio in tutta la mia vita.”
Le sue dita si fecero strada tra i capelli sottili sulla mia tempia, affondando lentamente fino alle nocche. Tremavano leggermente. Non avevo mai visto le mani di Holmes tremare. Girai il volto per baciargli il palmo.
“Presumo che tu voglia da me che mi comporti come avrei fatto prima di scoprire che eravate la stessa persona?”
“Precisamente.”
“Come posso riuscirci, ora che lo so? Blackbourne non conta niente per me; tu sei tutto.”
“Ti aiuterò a dimenticarlo.”
“E vuoi che… Quanto in là vuoi che mi spinga?”
“Quanto in là saresti disposto a spingerti?”
Chiusi gli occhi. Non riuscivo a contemplare il pensiero.
“Holmes, le premesse sono interamente sbagliate. Semplicemente non l’avrei fatto. In quella carrozza…”
“Sì, sì” disse lui. “Le premesse erano marce fin dal principio; colpa mia. Watson, ti chiedo di agire come preferisci, nella maniera che più ti aggrada. Non c’è alcun limite.”
“Come…” esitai, “come farò a sapere se ho… superato questa tua prova?”
“Lo saprai quando sarà finita.”
Sentii lo scatto della chiave nella serratura e poi uno strofinio di stoffa, una giacca che veniva sfilata e poi gettata sul pavimento.
“Holmes, questa è la cosa più assurda che mi sia mai capitata, e dopo due anni in tua compagnia credevo di aver visto di tutto.”
Immaginai un sorriso nel buio. “Con il tuo permesso, dottore, possiamo cominciare?”
Inspirai. “Vuoi che mi alzi, o…”
“Lì dove sei andrà benissimo. Quando sei pronto.”
“Non credo che lo sarò mai. Adesso va bene.”
La prima cosa che percepii fu una mano tiepida sulla mia coscia, appena sopra il ginocchio: si appoggiò solo leggermente dapprima, poi con più forza, come per bilanciare l’equilibrio del corpo, e infine strinse la carne e sentii il pollice scorrere lentamente verso l’alto nel solco del quadricipite. Era sfacciato, ma non era il solito tocco di Holmes; questo si manteneva ai margini, ancora incerto, come in attesa del permesso. Io aspettai. L’altra mano si posò sulla mia spalla e percepii l’intero corpo di Holmes curvarsi verso di me, e poi le labbra appoggiarsi sullo stesso punto sulla mia gola che avevano baciato dentro la carrozza.
“È stato crudele da parte vostra lasciarmi in quella maniera, dottore” mormorò Holmes nel mio orecchio, e non era più Holmes, ma Blackbourne, per quanto malfatta e artificiosa mi paresse ora la sua voce.
Così come nella carrozza, la mia mano si sollevò da sola e sfiorò il gonfiore sullo zigomo. “Mi dispiace” gracchiai.
“Rilassatevi” bisbigliò, sbottonandomi il gilet. Lo aiutai goffamente a togliermelo. È ridicolo, pensai, tutto questo è ridicolo. “John…”
Non ricordavo una singola volta in cui Holmes mi avesse chiamato col mio nome. Che lo facesse adesso come Blackbourne mi parve un’insopportabile prevaricazione, ma non protestai. Risposi, per quanto assurdo suonasse alle mie orecchie: “William…”.
Blackbourne – giacché quello non era Holmes, non al momento – diede un mugolio d’approvazione contro la mia gola. “Rilassatevi” ripeté.
“Non…” Chiusi gli occhi, sentendo le sue dita inerpicarsi lungo l’interno della mia coscia e trovare i bottoni che già una volta avevano disfatto in pochi istanti. Questa volta li circuirono più piano, con un’ombra di incertezza che sapevo falsa ma mi parve allo stesso tempo del tutto convincente. “Non penso che dovremmo farlo” mormorai debolmente, a disagio.
“Non preoccupatevi di nulla. Mi occuperò io di ogni cosa” replicò il tentatore, prendendo la mia mano appoggiata sulle lenzuola e portandosela alla nuca. Spinsi le dita tra i capelli che sapevo lisci come seta, immaginandoli biondi, ma l’illusione si disfece in un istante quando Blackbourne applicò la punta della lingua al mio membro con quella lentezza e circospezione che erano il marchio di Holmes.
Spinsi le dita più a fondo, con un sospiro grato. “Amico mio…”
“Non pensate a lui” borbottò Blackbourne, irritato, baciando la base e i testicoli tra le due ali aperte dei pantaloni. Percorse con la lingua l’intera lunghezza, dischiudendo le labbra per accogliere la punta all’interno della sua bocca. Mi costrinsi a notare le differenze, l’assenza di una mano imperiosa sulla mia coscia che mi tenesse fermo contro il materasso, la sensazione trasgressiva ed eccitante di avere ancora tutti i vestiti addosso, la mancanza della cura estenuante e crudele di Holmes nell’esecuzione. Feci qualcosa che con Holmes non avevo mai fatto: premetti il palmo della mano sulla sua nuca, spingendogli il capo in basso, ad accogliere una parte maggiore del mio membro nella sua bocca. Blackbourne si lasciò guidare con grazia perfetta, senza la minima esitazione, come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Il pensiero mi mandò un brivido non spiacevole su per la spina dorsale.
“Sdraiatevi. Più su” disse Blackbourne, privandomi della sua bocca per il tempo necessario a spingermi disteso sul letto a suo piacimento, e poi ancora un istante mentre sentivo due corpi pesanti – le scarpe – rotolare sul pavimento. Mi raggiunse sul letto, aderendo col suo corpo al mio, ma neppure stavolta volle baciarmi la bocca. Succhiandomi appassionatamente la gola e poi ritraendosi giù lungo il mio corpo, aprì, sbottonò e baciò tutto ciò che trovò sul suo cammino e mi infilò le mani dentro i fianchi dei pantaloni, tirandoli giù fino alle cosce. Mi strinse le natiche, affondando le dita tra le fasce dei glutei, sollevandomi leggermente il bacino per incontrare il suo volto. Rimasi ancora una volta impotente sotto il suo tocco, che era deciso e rapace e sempre meno simile, nella mia mente annebbiata, a quello di Holmes.
Lo strofinio dei suoi vestiti contro i miei e la mia pelle nuda era piacevole, ma non per la prima volta dovetti concentrarmi per reprimere la sensazione di disagio che aveva iniziato a montare dentro di me nell’istante in cui avevo acconsentito. Restai immobile, cercando di ignorarla, ma come con un dente malato che la lingua non cessa di stuzzicare fino a che il dolore non si fa insopportabile, non potei fare a meno di infierire su me stesso e notare ancora altre differenze: la rapidità appassionata e grossolana, il fastidio delle dita che mi scavavano la carne, il completo silenzio nella stanza – poiché io non riuscivo a emettere suono – che amplificava ogni sorta di rumore.
Finii tra le sue labbra, troppo debole per oppormi nonostante il disagio fosse ormai diventato un macigno in mezzo al petto, che mi schiacciava contro le profondità del materasso. Blackbourne rialzò il capo con un sospiro leggero, di cui non seppi decifrare il sentimento, poi mi sfilò con metodo tutto ciò che indossavo dalla vita in giù, passando le mani sulle mie cosce infreddolite come per riscaldarle.
“Mettetevi sotto le coperte” mormorò, aiutandomi, e poi mi raggiunse con ancora tutti i vestiti addosso. Gli presi il volto tra le mani ma mi evitò per la terza volta, piegandosi invece a baciarmi il lobo dell’orecchio e da lì discendere sulla giugulare, che pulsava furiosamente. La sua mano mi scivolò sul fianco, evitò la mia virilità spenta e mi spostò invece di lato una coscia, con fermezza. Le dita si spinsero tra le mie natiche, separandole e cercandovi in mezzo.
Mi irrigidii. “Non…”
“Va tutto bene” mormorò Blackbourne nel mio orecchio, squisitamente dolce. Mi accarezzò con calma, circuendo l’apertura a piccoli tocchi, fino a che non allargai le gambe di mia volontà. Holmes, dovunque fosse, rimase in perfetto silenzio. Il macigno che mi schiacciava parve sviluppare un improvviso spuntone, e premermelo sul cuore.
“Così” bisbigliò Blackbourne, baciandomi la cresta dell’orecchio, e intanto massaggiandomi delicatamente con la punta di un dito. “Sono tremendamente innamorato di te” disse ancora più piano, la sua voce e quella di Holmes fuse in un bisbiglio indistinguibile. “Tremendamente.”
Il dolore si fece insopportabile.
“Basta. Fermati. Per favore.”
Blackbourne obbedì. “Qualcosa non va?” domandò.
“Al diavolo. Al diavolo.” Mi voltai sul fianco, strisciando verso la metà libera del letto, fredda come una tomba. Mi premetti le dita sugli occhi, scatenando una tempesta di colori dietro le palpebre chiuse.
Lui non si mosse.
“Non posso farlo, Holmes. Non me lo puoi chiedere. Non ce la faccio. Come puoi dirmi queste cose, sapendo che io… che io…”
Holmes mi interruppe bruscamente: “Se il problema è la sodomia, credo che tu possa fidarti che non ho intenzione di sottoporti a un’esperienza che potresti non…”
“La sodomia non è affatto il problema!” replicai, forse troppo forte, perché la mano di Holmes corse a coprirmi la bocca. La scansai con rabbia. “Farò quello che vuoi, qualsiasi cosa tu voglia, ma ti prego…” mi si incrinò la voce, “ti prego, Holmes, di cessare questa storia di Blackbourne adesso. Non posso farlo. Ascoltarti professare false dichiarazioni mentre impersoni un altro è più di quanto… Dio mio, Holmes, non hai un briciolo di pietà?”
Pensai che non mi ero mai sentito più infelice in tutta la mia vita, neppure quando avevo creduto che sarei morto sul campo di battaglia a Maiwand. Appoggiai i gomiti sulle ginocchia, coprendomi la faccia con le mani.
“Sto meditando di ritirare qualsiasi complimento alla tua intelligenza mi sia mai uscito dalle labbra.”
“Sì, bene, come preferisci” risposi. “Ho già il tuo disprezzo; non potrà essere peggio di così.”
“Oh, per l’amor del cielo” sbottò Holmes. “Sdraiati.”
“Non ti sarò utile a nulla, per stanotte. Farai meglio ad andare a dormire.”
“Ho detto” ripeté Holmes, appoggiandomi una mano energica sulla spalla, “Watson, sdraiati. Adesso, se non ti dispiace.”
Mi lasciai spingere contro il cuscino e voltare sul fianco. Un braccio di Holmes mi passò intorno alle spalle, piegandosi per appoggiare il palmo sul mio cuore; l’altro mi strinse alla vita. Con la destra afferrò la mia mano, trovandola gelida, e iniziò a massaggiarla tra le dita.
“Sono tremendamente, disperatamente innamorato di te” disse piano. “E non posso credere di aver perso la ragione per un simile idiota. Davvero, Watson, da come parlavi credevo che l’avessi capito molto, molto tempo fa.”
Mi voltai nel suo abbraccio, senza parole come un imbecille. “Da cosa l’avrei dovuto capire?” riuscii a domandare infine.
“Ogni sorta di cose, se solo avessi guardato con attenzione.”
“Nominane una.”
“Non riesco a prendere sonno se non ti sei addormentato per primo.”
“Cos’altro?”
“Watson…”
“Ti prego.”
Holmes sospirò. “Passo una quantità di tempo del tutto esagerata a guardarti. Mi piace averti vicino anche quando non mi sei di alcuna utilità. Ho seri problemi a tenere le mani lontane dal tuo corpo, indipendentemente dall’ora del giorno o della notte. Preferisco averti nel mio letto, anche se è più rischioso, perché così non mi sentirò in obbligo di andarmene quando abbiamo finito, ed è più facile convincerti a rimanere.”
Gli cercai la guancia con le dita, sentendo il dolore svanire lentamente dal petto. Holmes continuò:
“Ti ho concesso cose che non ho mai concesso a nessun altro. Mi sono reso vulnerabile ai tuoi occhi come non ho mai fatto con nessuno. Hai accesso a zone del mio cuore che non credevo neppure di possedere; e invece non solo esistono, ma sembra abbiano sviluppato una vita propria e un tremendo potere sulla mia mente. In questi giorni non riuscivo a pensare chiaramente. Ogni volta che sorridevi a me credendo che fossi lui, avrei voluto cancellarlo dalla faccia della terra. Hai mai sentito nulla di più irrazionale, risibile, infantile…”
“No” assentii. “No, Holmes, non ho mai sentito niente più insensato in tutta la mia vita.” Appoggiai le labbra, con tutta la delicatezza possibile, sul suo zigomo violentato. “Ti amo.”
“Ah, questo merita almeno un secondo posto” mormorò Holmes.
Lo attirai a me per un bacio e stavolta mi venne incontro con entusiasmo. Passandogli le braccia intorno alle spalle, lo assaporai come se fosse il primo, o l’ultimo, e credo che il mio cuore tremò di una gioia a stento repressa quando Holmes emise un rumore leggero nella mia bocca e si tese appassionatamente verso di me.
“Troppo tempo…”
“Da quanto…”
Ci parlammo addosso per un istante, poi risolvemmo di smettere di parlare del tutto. Sbottonai ansiosamente il panciotto di Holmes, gli sfilai i gemelli (uno dei quali si perdette per sempre tra le assi del pavimento) e la camicia, accompagnando la stoffa con le mani mentre la sfilavo dalle sue spalle. Le spalle di Holmes non sono larghe né imponenti; sono anzi piuttosto magre come il resto della sua figura, ma i trascorsi da boxeur e da schermidore le hanno nondimeno scolpite in due ali di muscoli perfettamente definiti. Li accarezzai sotto le dita per un momento, poi mi spostai verso la sponda del letto.
“Watson?”
“Solo un istante. Lasciami accendere la luce.” Trovai a tentoni i fiammiferi nel cassetto e riuscii a riaccendere la lampada, regolandola perché la fiamma fosse bassa e illuminasse appena la stanza di un chiarore soffuso. Osservai le pupille di Holmes restringersi rapidamente, il grigio invadere lo spazio dei suoi occhi e scintillare di un bagliore solo in parte dovuto al riflesso della lampada. Aprii le braccia, e Holmes mi abbracciò e mi schiacciò con un sospiro sollevato sotto il peso del suo corpo.
“Così va meglio” mormorai, accarezzandogli il torace. Holmes era spettinato e in disordine e il suo sguardo aveva un che di selvaggio, non più freddamente analitico; il suo torace, pallido e quasi glabro, avrebbe destato l’interesse di qualunque essere umano che non fosse completamente cieco o demente.
“Quando avrai terminato di valutare la bontà del tuo acquisto, Watson, sappi che io sto aspettando.”
“Amico mio” replicai, “il mio acquisto ha un valore inestimabile, e il mio sguardo era di pura e semplice ammirazione.” Circondai la sua vita con un braccio, rivoltandolo disteso sulla schiena e approfittando della momentanea sorpresa per rubargli un altro bacio, più lento e appassionato.
“Devo dissentire dalla tua teoria che l’ammirazione sia un fatto razionale. Nessun fatto razionale mi ha mai procurato questo genere di reazioni.”
“Solo perché non hai mai imparato la fine arte di osservare i polsini delle camicie.”
“I polsini ti procurano questo genere di reazioni, Holmes?” Gli sbottonai i calzoni. “Sento che dovrei considerarmi offeso.”
“Perché mai? Tu sei molto più interessante di un polsino” mormorò Holmes.
“Grazie a Dio.”
“Le macchie di fango sui pantaloni, d’altra parte…”
Gli chiusi la bocca molto efficacemente con la mia e lo presi nella mia mano. Sentii un mugolio vibrare nella gola di Holmes e le sue dita attaccarmi i polsi alla cieca, sfilando i gemelli e lasciandoli cadere – lanciandoli, quasi – sul comodino. Mi sfilò la cravatta che pendeva lenta intorno al collo, e dopo di essa il resto del mio vestiario. Riaprii gli occhi; le guance di Holmes erano di una decisa tinta rosata che il suo incarnato pallido concedeva raramente.
“Holmes…”
“Watson” rispose, prendendomi il volto tra le mani. Mi baciò l’angolo della bocca. “O forse preferisci ‘John’? Ammetto che il pensiero non mi era mai passato per la mente, prima.”
“Non ho preferenze” sorrisi.
“Watson, allora.” Spostò una mano in basso, tra i nostri corpi. “Mio Watson. Ah, così va meglio…”
“Apri il cassetto, ti dispiace?” domandai con un leggero tremito nella voce.
Holmes si allungò verso il comodino e obbedì alla richiesta inespressa, recuperando il piccolo vaso di pomata dalle profondità del cassetto dopo diversi secondi di affannosa ricerca. Tolse il coperchio e me lo offrì, facendo per spostarsi di lato. Gli strinsi un braccio, guadagnandomi uno sguardo interrogativo.
“Dovrai concedermi un secondo per togliermi i pantaloni, Watson.”
“Non è necessario.”
“Dottore, sono certo che sodomizzare il proprio compagno abbassandogli i calzoni alle caviglie avesse un innegabile fascino nella generale brutalità dell’esercito, ma qui, in un letto come si deve, è più scomodo che…” Gli presi la mano, spingendo le punte delle sue dita a raccogliere un po’ di pomata dal vasetto. “Oh.”
“È da diverso tempo che… Dovrai avere un po’ di pazienza” spiegai, facendogli spazio. “Sempre che l’idea ti aggradi” aggiunsi, piuttosto in fretta.
“Non hai bisogno di chiedermelo” mormorò Holmes, come rapito per un istante. Le lenzuola si erano disperse in un grumo scompigliato intorno alle nostre ginocchia, ma Holmes si dispose con relativa facilità in una posizione comoda per entrambi e si sollevò su un gomito.
“Vuoi che spenga la luce?”
“No.” Socchiusi gli occhi, irrigidendomi e poi costringendomi a rilassarmi immediatamente sotto il suo tocco. “Ti assicuro, Holmes… sono tutto meno che una sposina alla sua prima notte di nozze.”
“Non ne ho mai dubitato neanche per un momento. Ma non credevo che l’idea ti attirasse.”
“Non credevo che l’idea attirasse te.”
“Che sciocchezza.” Si chinò a prendere tra le labbra il mio capezzolo, che stava tormentando sotto il pollice da quasi un minuto, e la mia mano si mosse verso i suoi capelli, stringendo le ciocche più lunghe sulla nuca. Il respiro mi mancò per un attimo quando le sue dita corressero leggermente l’angolazione per massaggiare la mia prostata; mi mossi incontro a lui per assecondare il movimento, e sentii i denti di Holmes graffiarmi la pelle e un ansimo rumoroso sfuggirmi dalle labbra. Gli serrai le ciocche tra le dita, attirandolo verso la mia bocca per un bacio.
“Sembrava che… il contrario avesse la tua totale preferenza” mormorai sulle sue labbra. “Non che abbia mai inteso lamentarmi. Eri… Sei… Non ho mai provato nulla del genere.”
“Sono felice di sentirlo. Molto felice.”
Lo sembrava davvero, più felice di come l’avessi mai visto. Lo baciai di nuovo, improvvisamente in bilico, in preda a un vago senso di vertigine.
“Holmes…”
“Quanto alla mia preferenza, dovresti sapere che non mi piace lasciare nulla di intentato” mormorò Holmes, con voce roca.
“Holmes, per favore.”
“Non ancora.”
“Holmes” ripetei per la terza volta, il respiro difficoltoso. “Smetti di tormentarmi, per l’amor del cielo.”
“Non penso che lo farò” rispose lui, ma mentre lo diceva applicò con calma un’altra generosa dose di pomata sul suo membro, poi si posizionò tra le mie gambe e mi penetrò con cautela, aiutandosi con una mano.
Non ci fu spazio per altre parole. Era passato diverso tempo dall’ultima volta in cui ero stato il destinatario di questo genere di attenzioni, ma Holmes vinse ogni resistenza del mio corpo con pazienza e decisione. Non l’avevo mai visto più forte, più dedito, più appassionato. Se il mio corpo fosse stato una delle sue indagini, dall’espressione del suo volto l’avrei detta la più avvincente ed eccitante della sua intera vita.
Quella notte mi dichiarai suo più volte di quante possa ricordare, con parole che non ripeterò ma che Holmes – ne ho avuto prova nel corso degli anni – rammenta molto meglio di me; alcune si prestano perfettamente all’ironia occasionale del mio amico, altre, ancor meno adatte alla conversazione civile, sono archiviate nella sua memoria perfetta come un codice da citare solo in casi di straordinaria intensità.
Perfino adesso che cinque anni e più sono passati da quella data, talvolta ho un brivido nel ricordare il proseguo della nottata, e come alla fine mi spensi in un sonno spossato senza più un’oncia di energia nel corpo.
Holmes, fedele alla sua parola, era ancora sveglio quando mi addormentai. C’era l’odore del suo tabacco nell’aria e ghirigori di fumo aleggiavano pigramente intorno al letto. Mormorai che non ricordavo se la porta fosse chiusa a chiave e poi qualcos’altro su Mrs. Hudson, e subito dopo il sonno mi reclamò con la risata leggera di Holmes nelle orecchie.
Mi destai, non per la prima volta, da solo nel mio letto. Meditai per un attimo di dubitare della realtà degli ultimi avvenimenti (l’ultima notte, l’ultimo giorno, o, a scelta, l’intero affaire Blackbourne), ma i vestiti di Sherlock Holmes erano sparsi sul pavimento della mia stanza, e tra di essi riconobbi una cravatta che era stata del mio eccentrico ammiratore. Cercai la mia vestaglia, ma inutilmente, e infine mi rassegnai a scendere in salotto con il solo pigiama addosso.
Holmes era seduto in poltrona con la prima pipa della giornata. Il camino era acceso, ma non da molto: l’aria era ancora gelida.
“Per combinazione hai notizie della mia vestaglia, Holmes?” domandai.
Il mio amico parve riscuotersi da una profonda meditazione. “Desolato, dottore. Troverai la tua vestaglia nella mia camera da letto.”
Andai a recuperare l’indumento rubato, poi tornai in salotto. Holmes aveva un lampo divertito nello sguardo.
“Mi domando come sia potuto venire, alla mia vestaglia, l’improvviso desiderio di migrare verso la tua camera” annunciai sedendomi cautamente sul bracciolo della sua poltrona.
“È presto detto” rispose Holmes, aggiustandomi il colletto del pigiama con due dita. “Avevo necessità di raggiungere il piano inferiore e non mi è parso conveniente farlo in completa nudità. Ho preso quindi in prestito la tua vestaglia, confidando che tu avessi qualcos’altro a disposizione nella tua stanza per coprire l’opera di Madre Natura.”
“Perché non mi hai svegliato? Sarei sceso a prendere i tuoi vestiti.”
“Non mi è parso il caso. Avevi un’aria particolarmente beata.”
Mi chinai verso di lui per un bacio, che Holmes ricambiò senza esitazioni. Le sue dita scivolarono dentro la mia vestaglia e mi si posarono sul fianco.
“Ho incontrato Mrs. Hudson mentre risalivo le scale” disse Holmes.
“Sì? Che cosa… Aspetta, che ore sono?”
“Le nove passate.”
Lo guardai. “Holmes, ti prego, dimmi che non hai incontrato la nostra padrona di casa completamente nudo salvo per la mia vestaglia addosso?”
Holmes sorrise lentamente. Sentii un brivido gelido risalirmi la schiena.
“Holmes…”
“A quel punto la tua vestaglia era già in salvo nella mia stanza e avevo indossato qualcosa” ammise candidamente.
Pensai che doveva essere d’umore eccezionalmente allegro, quella mattina: in tempi normali mi avrebbe torturato per almeno altri dieci secondi prima di dirmi la verità.
“Ah, sì, mi ha domandato del livido. Naturalmente le ho detto che sei stato tu.”
“Holmes! Ma…”
“Se può consolarti, ho aggiunto molto onestamente di essermelo meritato. Di certo non ti aspetterai che menta alla cara Mrs. Hudson?”
“Non c’era alcuna necessità di farmi passare per un violento che alza le mani sul suo migliore amico.”
“Hai ragione, è stato crudele da parte mia. Avrei dovuto dirle la verità, mi chiedo? Non ti avrebbe creduto un violento, ma d’altra parte non avrebbe più creduto me il tuo migliore amico.”
“Holmes…” Mi passai una mano sulla faccia. “Lasciamo stare. Non ho voglia di iniziare un’altra giornata litigando con te; ieri è stato più che… Cosa? Che cosa c’è?” Holmes ridacchiava sommessamente guardando il fuoco, le spalle che si alzavano e abbassavano appena nei piccoli spasmi di ilarità. “Non l’hai fatto. Mi stai prendendo in giro.”
“Scusami, amico mio, sono imperdonabile” confessò Holmes, appoggiandomi una mano sulla coscia. “Credo di non poter resistere quando hai quell’espressione sulla faccia.”
Sospirai, irritato. “Tu, amico mio, sei la creatura più insopportabile che Dio abbia mai messo sul mio cammino. E mi sento in dovere di informarti che da ragazzo ho avuto un cane da caccia tremendamente viziato e insofferente al collare.”
“Sono certo che solo tu avessi il potere di ammansirlo con la semplice promessa di una carezza” replicò lui, stuzzicando in maniera del tutto indecente il mio ginocchio. “Non c’è creatura al mondo, essere umano o canide che sia, che non si metterebbe in fila ai tuoi piedi.”
“Purtroppo sono estremamente avaro di queste attenzioni” replicai con un sorriso, già rabbonito. “Temo che la fila dovrà tornare a casa delusa.”
Holmes sorrise a sua volta, ma con un’ombra di tristezza; durò solo un attimo, ma fui comunque in grado di notarla.
“Holmes” lo chiamai piano, sfiorandogli la guancia con le dita. “Ascoltami. Qualunque cosa tu avessi in mente ieri notte con… quell’esperimento che mi hai proposto, spero che la prova ti abbia dimostrato – in qualche bizzarra maniera la cui logica momentaneamente mi sfugge – che la mia persona ti appartiene completamente, e che la sola idea di…”
“Sì, sì” mormorò Holmes. “Perdonami, devo esserti sembrato completamente fuori di me. Lo ero. Te l’ho detto, non riuscivo a pensare chiaramente.”
“Che cosa volevi dimostrare?”
“Dimostrare, nulla. Volevo… Dopo ciò che mi hai detto, e lo spiacevole incidente nella carrozza, ho riflettuto che l’unico modo per determinare se potevo davvero accordarti l’interezza del mio cuore era osservarti a letto con un altro – uno con cui non avessi alcun legame sentimentale, bada bene – e trarre le mie conclusioni. Allo stesso tempo, però, non potevo permettere che una cosa del genere accadesse davvero. Non sarei stato in grado di garantire per l’incolumità fisica della persona in questione.”
“Amico mio…” iniziai.
“Avrei corretto mentalmente certe discrepanze nel tuo comportamento, dovute al fatto che si trattava di un’approssimazione, come si fa con certe leggi di chimica ricavate sublimando a un livello di perfezione teorica i gas imperfetti che esistono in natura.”
“Holmes, è assurdo. Non puoi pensare di mettere l’animo umano in una provetta e misurarne i componenti come faresti con il fango delle strade di Londra.”
“Assurdo, certamente” mormorò Holmes, senza guardarmi. “Eppure ti assicuro che ho ragionato sulla cosa per almeno trenta minuti abbondanti, attaccandola da ogni lato e trovandola del tutto confacente. Tutto a riprova del fatto che non si dovrebbe permettere a un uomo annebbiato dalle proprie emozioni di prendere decisioni, suppongo.”
“Per quanto assurda e…”, cambiai posizione sul bracciolo, che iniziava a diventare un appoggio alquanto scomodo, “…annebbiata sia stata questa idea, sono felice che tu l’abbia avuta, se ha prodotto i risultati sperati.” Sorrisi. “Devo solo rammaricarmi che la mia amicizia con Mr. William Blackbourne sia finita così presto. Mi dicono che il gentiluomo è scomparso questa notte in circostanze del tutto misteriose.”
“Davvero? Che fatto curioso” replicò Holmes, lasciando che le sue dita si avventurassero sotto l’orlo della mia vestaglia. “In circostanze misteriose, dici? Qual è l’ultimo luogo in cui è stato visto?”
“La mia camera da letto” risposi, avvertendo un improvviso afflusso di sangue alle guance.
“Forse potrei indagare.”
“Ti prego di non farlo. La scomparsa di Mr. Blackbourne, mi dicono, è del tutto irreversibile.”
“Così sono stato informato anch’io. Ciò nondimeno, credo che la coscienza mi obblighi quantomeno ad esaminare il luogo della sua scomparsa. In quale parte della stanza è stato visto per l’ultima volta?” Sono fermamente convinto che le sue dita, per non parlare della sua voce, potrebbero costringermi a fare qualsiasi cosa al mondo.
“Sono… abbastanza certo che fosse il mio letto” risposi, fingendo di pensare per un istante.
“Allora direi di non…”
Un tintinnio di porcellana dal fondo delle scale mi mise in allarme. Holmes ritirò il volto dall’incavo del mio collo, con aria placida.
“Ah, dimenticavo” disse. “Mi aspettavo che ti alzassi da un minuto all’altro e ho detto a Mrs. Hudson di preparare la colazione.”
“E quando me l’avresti detto, mi domando?”
“Per allora, miravo ad averti già felicemente svestito perlomeno degli strati superiori del tuo abbigliamento.”
“Holmes, in fede mia, tu…”
Si udì bussare dolcemente ma con decisione alla porta, e poi la voce sottile di Mrs. Hudson domandò se poteva entrare.
“Avanti, avanti” rispose Holmes ad alta voce, mentre mi ritiravo rapidamente per le scale che conducevano alla mia camera. Non avrebbe giovato a nessuno, e certamente non alla nostra padrona di casa, trovarmi in pigiama e vestaglia, le guance arrossate e la maglia sbottonata fino allo sterno, pensai richiudendomi alle spalle – ma non a chiave – la porta della mia stanza.
Avevo appena terminato di sfilarmi la maglia dalla testa, quando sentii i passi di Holmes in fondo alle scale.
Il prompt al P0rn Fest era: Sherlock Holmes, Holmes/Watson, travestimento.