[House fic] Breathe me (James/David)
Feb. 9th, 2007 03:10 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Breathe me
Autore: Fiorediloto
Serie: House MD
Personaggi: James Wilson, David Wilson (a.k.a. "il fratello scomparso")
Rating: PG-13. Angst. Incest.
Note: Ambientata in un periodo imprecisato della giovinezza di James Wilson. Indicativamente, intorno ai venti-venticinque anni. Il testo riportato e il titolo della fic appartengono alla canzone "Breathe me" di Sia.
Dedicata: A
eryslash, per i suoi quindici anni. Non è lunga né bella né poetica né sconcia quanto avrei voluto, ma spero che ti piacerà lo stesso. Mi sono cimentata nell’angst, anche se lo odio, perché so che invece a te piace, quindi sono sicura che almeno apprezzerai lo sforzo (immane) di questo parto letterario. La colonna sonora è quella che sai.
Tanti auguri.
Sapeva di pioggia, e di polline lavato via dall’acquazzone. Gli tolse una foglia fradicia dai capelli, sentendola molle e fredda tra le dita.
Non il conforto di uno sguardo, né di una parola.
James abbassò gli occhi.
In un momento non precisato in mezzo a quel che era successo, James aveva deciso che la colpa era solo sua. Aveva pensato che questo, come la sentenza di un tribunale invisibile, fosse stato accettato da entrambi come verità condivisa - David se n’era andato, lasciandolo a decretare da solo la propria punizione, e James si era detto che il rimorso, per quanto feroce, non era ancora abbastanza.
L’idea dell’espiazione lo tormentava continuamente, come una malattia. David ne sembrava immune, ma James non lo trovava strano. Non aveva colpe da espiare, lui.
È tornato perché fuori piove, pensò.
Un indefinito lasso di tempo prima aveva aperto la finestra della camera da letto, e una ventata di profumo di pioggia e resina l’aveva avvolto come l’ultimo sospiro di una natura morente – il pensiero incongruo gli era venuto così, senza motivo. Era rimasto affacciato sul vialetto spento per un’ora, forse meno, rabbrividendo per il freddo. I vestiti erano dove David li aveva lanciati, un po’ sul letto, un po’ sul pavimento; qualcosa al piano di sotto. La cravatta ancora annodata era appesa all’attaccapanni come una bandiera a mezz’asta.
I resti del letto sfatto gli gridavano di espiare, e James avrebbe voluto farlo, ma non sapeva come. Aveva pensato che fosse abbastanza restare lì al freddo, nudo, col rimorso che gli ricordava a ogni ululato del vento che nessuno, nessuno sulla Terra era più colpevole di lui.
«Mi dispiace.»
Sgranò leggermente gli occhi, sentendo la guancia di David strofinarsi contro la stoffa spessa del suo maglione, le braccia fredde circondargli il torace. I palmi appoggiarsi sulla sua schiena, aperti. Restò con le braccia alzate, indeciso sul da farsi, finché il calore di David non attraversò tutti gli strati di stoffa e lo raggiunse, confortante, sulla pelle.
Gli passò le dita tra i capelli fradici di pioggia. Aveva le mani gelate, ma David non se ne accorse.
«Non volevo dire quello che ho detto» mormorò il più giovane.
«Lo pensavi. Hai fatto bene a dirlo.»
«Non lo pensavo. Non so perché l’ho detto.»
James chiuse gli occhi, la guancia contro la tempia dell’altro. Pioggia, mista a shampoo e a qualcosa che non sapeva definire ma era indiscutibilmente David, gli saliva alle narici, drogandolo.
“Non sono la tua puttana!”
«Perdonami» sussurrò James, baciandogli la tempia. «È colpa mia.» Deglutì, le palpebre serrate, il corpo di David che tremava furiosamente contro il suo. Si sarebbe ammalato presto, se non si toglieva i vestiti bagnati. James sentiva già la testa vacillare, le orecchie ovattate. Sarebbero finiti con lo stringersi l’uno all’altro nel letto, i corpi bruciati dalla febbre, nessun altro in casa tranne loro e la loro malattia. «Ma è un errore, Dave,» mormorò James, più forte, «e questa cosa ci ucciderà se non la fermiamo.»
«Anche se la fermiamo» bisbigliò David, contro il suo maglione.
«Forse siamo ancora in tempo.»
«No.»
Il vento emise un stridio acuto, come il lamento di una banshee, e la pioggia scrosciò sul tetto e contro le finestre come se volesse buttar giù la casa. David tremò e si aggrappò alle sue braccia. Premette le labbra contro le sue mentre James vacillava indietro nel vuoto buio dell’ingresso.
A che valeva espiare? L’avrebbe rifatto, ancora e ancora, senza perdono.
«Io ti amo» stava dicendo David, da una distanza lontanissima. «Tu non mi devi… tu non mi puoi lasciare, Jimmy. Io ti amo.»
«Non ti sto lasciando» si sentì rispondere, con un tremito nella voce.
D’un tratto non ricordava più perché avessero litigato, né quale fosse quella parola che gli era penetrata nel cuore come una scheggia. Barcollò all’indietro fino al muro, e David schiacciò le costole contro le sue, così forte che per un attimo James fece fatica a respirare. Lo sentì sollevarsi sulle punte per far combaciare le rispettive anatomie, che cozzarono perfettamente simmetriche come due identiche armature sul campo di battaglia.
Rabbrividì quando le mani di David gli toccarono i fianchi sotto il maglione, ma non le scostò. C’erano parti del suo corpo che scottavano, come le labbra che David stava mordendo a sangue, e altre che bruciavano dal freddo, come la pelle sotto le sue mani ghiacciate.
Doveva fargli cambiare i vestiti bagnati, pensò da qualche parte tra la coscienza e la nebbiolina leggera del desiderio.
«David… i vestiti» mormorò, e per tutta risposta l’altro gli sollevò il maglione fino alle ascelle e cercò di sfilarglielo, ma trovò resistenza nelle braccia di James.
«… andiamo di sopra?» propose.
Piano di sopra, camera da letto, vestiti asciutti. Il pensiero aveva una certa coerenza e James decise di seguirlo – anche se la frase lasciava intendere che avesse potere di scegliere, e non l’aveva. David si staccò da lui con una specie di smorfietta ritrosa e si incamminò verso le scale, e James lo seguì, come aveva sempre fatto. Su per le scale e nella camera da letto, ma non quella in cui avevano dormito per gli svariati anni della loro infanzia, bensì quella – sacra – dei loro genitori.
James aprì la bocca per dirgli di fermarsi, ma David era arrivato alla porta-finestra. La spalancò, aprendo l’accesso al balcone, e James sentì il vento investirgli violentemente la faccia. Il ticchettio della pioggia si amplificò in un martellare continuo e assordante. James vide un raggio di luna luccicare sui capelli di David e raggiunse il fratello, senza sapere bene cosa fare.
David gli sorrise e uscì in balcone. Il platano che affondava le radici nel loro giardino andava potato da mesi: la chioma era talmente folta che fagocitava tutto un angolo del balcone, oscurandolo alla vista. In questo momento le foglie più larghe grondavano pioggia in goccioloni spessi come chicchi di grandine. Verso quell’angolo si diresse David, appoggiando le spalle contro la facciata della casa, le mani dietro la schiena con aria del tutto innocente.
«Dave…?»
«Vieni.»
James sbatté le palpebre per allontanare la pioggia scrosciante dagli occhi. Già sentiva l’acqua infiltrarsi tra le maglie della lana e bagnargli la pelle nuda, facendolo rabbrividire. Si strinse a David nell’angolino riparato del balcone, dove sarebbero stati invisibili alla strada, e gli sussurrò di tornare dentro. Si sarebbero ammalati sicuramente.
«Non fa niente. Stai qui» mormorò David, abbracciandolo.
James appoggiò il viso contro la sua spalla. L’acqua gli scorreva tra i capelli e dentro i vestiti come un battesimo purificatore, e chissà che questo non fosse un buon modo di espiare.
Poi David si fermò a contemplare una goccia che pendeva da una ciocca di capelli di James, tremolando come una delle foglie del platano sotto il peso dell’acqua. Attese che cadesse, in silenzio, ma quella tremolò e tremolò senza staccarsi e alla fine David la raccolse tra le labbra, succhiandola via dalla ciocca fradicia. James lo guardò con curiosità. David scostò via il ciuffo, pettinandolo insieme agli altri, e lo baciò.
Erano all’aperto, senza porte da sbarrare né tende da poter chiudere intorno, eppure tra il buio e le fronde nessuno poteva vederli. James strinse il fratello contro il muro ruvido alle sue spalle, scioccato come ogni volta – non erano state molte – per quello che stava facendo.
L’acqua avrebbe lavato via ogni cosa.
O almeno così si disse, mentre succhiava via la pioggia dalle labbra del fratello. Ma in un angolo della sua mente non poté non chiedersi perché fosse così salata.
Autore: Fiorediloto
Serie: House MD
Personaggi: James Wilson, David Wilson (a.k.a. "il fratello scomparso")
Rating: PG-13. Angst. Incest.
Note: Ambientata in un periodo imprecisato della giovinezza di James Wilson. Indicativamente, intorno ai venti-venticinque anni. Il testo riportato e il titolo della fic appartengono alla canzone "Breathe me" di Sia.
Dedicata: A
![[livejournal.com profile]](https://www.dreamwidth.org/img/external/lj-userinfo.gif)
Tanti auguri.
I am small
I'm needy
Warm me up
And breathe me
Sapeva di pioggia, e di polline lavato via dall’acquazzone. Gli tolse una foglia fradicia dai capelli, sentendola molle e fredda tra le dita.
Non il conforto di uno sguardo, né di una parola.
James abbassò gli occhi.
In un momento non precisato in mezzo a quel che era successo, James aveva deciso che la colpa era solo sua. Aveva pensato che questo, come la sentenza di un tribunale invisibile, fosse stato accettato da entrambi come verità condivisa - David se n’era andato, lasciandolo a decretare da solo la propria punizione, e James si era detto che il rimorso, per quanto feroce, non era ancora abbastanza.
L’idea dell’espiazione lo tormentava continuamente, come una malattia. David ne sembrava immune, ma James non lo trovava strano. Non aveva colpe da espiare, lui.
È tornato perché fuori piove, pensò.
Un indefinito lasso di tempo prima aveva aperto la finestra della camera da letto, e una ventata di profumo di pioggia e resina l’aveva avvolto come l’ultimo sospiro di una natura morente – il pensiero incongruo gli era venuto così, senza motivo. Era rimasto affacciato sul vialetto spento per un’ora, forse meno, rabbrividendo per il freddo. I vestiti erano dove David li aveva lanciati, un po’ sul letto, un po’ sul pavimento; qualcosa al piano di sotto. La cravatta ancora annodata era appesa all’attaccapanni come una bandiera a mezz’asta.
I resti del letto sfatto gli gridavano di espiare, e James avrebbe voluto farlo, ma non sapeva come. Aveva pensato che fosse abbastanza restare lì al freddo, nudo, col rimorso che gli ricordava a ogni ululato del vento che nessuno, nessuno sulla Terra era più colpevole di lui.
«Mi dispiace.»
Sgranò leggermente gli occhi, sentendo la guancia di David strofinarsi contro la stoffa spessa del suo maglione, le braccia fredde circondargli il torace. I palmi appoggiarsi sulla sua schiena, aperti. Restò con le braccia alzate, indeciso sul da farsi, finché il calore di David non attraversò tutti gli strati di stoffa e lo raggiunse, confortante, sulla pelle.
Gli passò le dita tra i capelli fradici di pioggia. Aveva le mani gelate, ma David non se ne accorse.
«Non volevo dire quello che ho detto» mormorò il più giovane.
«Lo pensavi. Hai fatto bene a dirlo.»
«Non lo pensavo. Non so perché l’ho detto.»
James chiuse gli occhi, la guancia contro la tempia dell’altro. Pioggia, mista a shampoo e a qualcosa che non sapeva definire ma era indiscutibilmente David, gli saliva alle narici, drogandolo.
“Non sono la tua puttana!”
«Perdonami» sussurrò James, baciandogli la tempia. «È colpa mia.» Deglutì, le palpebre serrate, il corpo di David che tremava furiosamente contro il suo. Si sarebbe ammalato presto, se non si toglieva i vestiti bagnati. James sentiva già la testa vacillare, le orecchie ovattate. Sarebbero finiti con lo stringersi l’uno all’altro nel letto, i corpi bruciati dalla febbre, nessun altro in casa tranne loro e la loro malattia. «Ma è un errore, Dave,» mormorò James, più forte, «e questa cosa ci ucciderà se non la fermiamo.»
«Anche se la fermiamo» bisbigliò David, contro il suo maglione.
«Forse siamo ancora in tempo.»
«No.»
Il vento emise un stridio acuto, come il lamento di una banshee, e la pioggia scrosciò sul tetto e contro le finestre come se volesse buttar giù la casa. David tremò e si aggrappò alle sue braccia. Premette le labbra contro le sue mentre James vacillava indietro nel vuoto buio dell’ingresso.
A che valeva espiare? L’avrebbe rifatto, ancora e ancora, senza perdono.
«Io ti amo» stava dicendo David, da una distanza lontanissima. «Tu non mi devi… tu non mi puoi lasciare, Jimmy. Io ti amo.»
«Non ti sto lasciando» si sentì rispondere, con un tremito nella voce.
D’un tratto non ricordava più perché avessero litigato, né quale fosse quella parola che gli era penetrata nel cuore come una scheggia. Barcollò all’indietro fino al muro, e David schiacciò le costole contro le sue, così forte che per un attimo James fece fatica a respirare. Lo sentì sollevarsi sulle punte per far combaciare le rispettive anatomie, che cozzarono perfettamente simmetriche come due identiche armature sul campo di battaglia.
Rabbrividì quando le mani di David gli toccarono i fianchi sotto il maglione, ma non le scostò. C’erano parti del suo corpo che scottavano, come le labbra che David stava mordendo a sangue, e altre che bruciavano dal freddo, come la pelle sotto le sue mani ghiacciate.
Doveva fargli cambiare i vestiti bagnati, pensò da qualche parte tra la coscienza e la nebbiolina leggera del desiderio.
«David… i vestiti» mormorò, e per tutta risposta l’altro gli sollevò il maglione fino alle ascelle e cercò di sfilarglielo, ma trovò resistenza nelle braccia di James.
«… andiamo di sopra?» propose.
Piano di sopra, camera da letto, vestiti asciutti. Il pensiero aveva una certa coerenza e James decise di seguirlo – anche se la frase lasciava intendere che avesse potere di scegliere, e non l’aveva. David si staccò da lui con una specie di smorfietta ritrosa e si incamminò verso le scale, e James lo seguì, come aveva sempre fatto. Su per le scale e nella camera da letto, ma non quella in cui avevano dormito per gli svariati anni della loro infanzia, bensì quella – sacra – dei loro genitori.
James aprì la bocca per dirgli di fermarsi, ma David era arrivato alla porta-finestra. La spalancò, aprendo l’accesso al balcone, e James sentì il vento investirgli violentemente la faccia. Il ticchettio della pioggia si amplificò in un martellare continuo e assordante. James vide un raggio di luna luccicare sui capelli di David e raggiunse il fratello, senza sapere bene cosa fare.
David gli sorrise e uscì in balcone. Il platano che affondava le radici nel loro giardino andava potato da mesi: la chioma era talmente folta che fagocitava tutto un angolo del balcone, oscurandolo alla vista. In questo momento le foglie più larghe grondavano pioggia in goccioloni spessi come chicchi di grandine. Verso quell’angolo si diresse David, appoggiando le spalle contro la facciata della casa, le mani dietro la schiena con aria del tutto innocente.
«Dave…?»
«Vieni.»
James sbatté le palpebre per allontanare la pioggia scrosciante dagli occhi. Già sentiva l’acqua infiltrarsi tra le maglie della lana e bagnargli la pelle nuda, facendolo rabbrividire. Si strinse a David nell’angolino riparato del balcone, dove sarebbero stati invisibili alla strada, e gli sussurrò di tornare dentro. Si sarebbero ammalati sicuramente.
«Non fa niente. Stai qui» mormorò David, abbracciandolo.
James appoggiò il viso contro la sua spalla. L’acqua gli scorreva tra i capelli e dentro i vestiti come un battesimo purificatore, e chissà che questo non fosse un buon modo di espiare.
Poi David si fermò a contemplare una goccia che pendeva da una ciocca di capelli di James, tremolando come una delle foglie del platano sotto il peso dell’acqua. Attese che cadesse, in silenzio, ma quella tremolò e tremolò senza staccarsi e alla fine David la raccolse tra le labbra, succhiandola via dalla ciocca fradicia. James lo guardò con curiosità. David scostò via il ciuffo, pettinandolo insieme agli altri, e lo baciò.
Erano all’aperto, senza porte da sbarrare né tende da poter chiudere intorno, eppure tra il buio e le fronde nessuno poteva vederli. James strinse il fratello contro il muro ruvido alle sue spalle, scioccato come ogni volta – non erano state molte – per quello che stava facendo.
L’acqua avrebbe lavato via ogni cosa.
O almeno così si disse, mentre succhiava via la pioggia dalle labbra del fratello. Ma in un angolo della sua mente non poté non chiedersi perché fosse così salata.