scandalinbohemia: (Default)
[personal profile] scandalinbohemia
Titolo: La legge di Murphy
Autore: [livejournal.com profile] cryptictac (tradotto da [livejournal.com profile] fiorediloto
Rating: PG
Pairing: House/Wilson
Disclaimer: I personaggi di House MD non appartengono né all’autrice di questo racconto né alla sottoscritta, ma a David Shore. Lo stesso vale per General Hospital.
Spoiler: Seconda serie.
Nota del Traduttore: Un enorme ringraziamento e un casco di banane alla ciccia [livejournal.com profile] sarabakanashimi, che ufficialmente mi ha fatto da beta-reader, in realtà da maestrina paziente (T___T)

Qui potete trovare il racconto originale --> http://cryptictac.livejournal.com/83915.html




+ La legge di Murphy +




La donna sullo schermo della tv si stringeva il pancione di nove mesi e ansimava pesantemente, la fronte lattea imperlata di sudore; il suo make-up, a dispetto del grave travaglio e dell’abbondante traspirazione, era impeccabile.
Inginocchiato vicino a lei stava un uomo bruno, dalla bellezza misteriosa, una mano appoggiata sul suo ginocchio e lo sguardo allo stesso tempo alquanto perplesso e tuttavia incredibilmente attraente.
“Carly, io non so come far nascere un bambino” disse l’uomo, chiamato Lorenzo. “Non ho mai assistito a un parto.” *
“Be’, che coincidenza” scattò Carly, tra le contrazioni. “Neanch’io. Okay? Ero sotto anestesia quando Michael è nato. È stato un cesareo.”
Lorenzo fece una pausa drammatica. “Non ho idea di come aiutarti.”
Stava arrivando un’altra contrazione. “Be’, puoi…” Un rantolo doloroso la fece interrompere, seguito da un piccolo grugnito. “Puoi contare le contrazioni e aiutare il bambino a uscire. Ecco le forbici. Puoi tagliare il cordone ombelicale quando…”
“Oh no!” esclamò Lorenzo.
“Oh, quelle sì che sono persone che ci sanno fare,” osservò House cinicamente, la bocca piena di cibo, indicando il televisore col suo sandwich.
Era seduto su una sedia accanto al letto di un paziente in coma; i piedi appoggiati sul bordo del materasso e le caviglie incrociate.
Il suo pranzo – in realtà quello di Wilson – era aperto sul tovagliolo insieme a una bibita comprata in mensa, entrambi appoggiati sul tavolino a fianco del letto alle sue spalle.
Non era proprio ora di pranzo – General Hospital cominciava sempre alle tre del pomeriggio nel New Jersey e House aveva già pranzato in mensa all’ora giusta. Comunque questo non gli aveva impedito di invadere la privacy del paziente in coma per vedere il suo programma. E non gli aveva impedito di fare uno spuntino col pranzo di Wilson, sgraffignato dal frigo quella mattina prima di andare a lavoro.
Wilson era tornato di recente a vivere nel suo appartamento, e il frigo di House era tornato ad essere pieno di sandwich e bottiglie meticolosamente etichettati con post-it dalla grafia illeggibile; avvisi del tipo: “Proprietà di James Wilson: Non toccare” . Il post-it di quel sandwich, in particolare, era ancora attaccato alla carta, dal lato che gli poggiava in grembo.
“Non penso che tu abbia mai seguito un corso pre-parto” continuò Lorenzo. La posa di grave preoccupazione sul suo volto pesantemente truccato era qualcosa di sconvolgente.
“No, ho seguito quello di cura infantile” , rispose Carly, senza fiato, “perché pensavo che avrei partorito in un ospedale, circondata da dottori e anestetizzata con l’epidurale.”
“Quindi non hai idea di quando cominciare a spingere?”
Carly strinse più forte la pancia gonfia. “Penso che il mio corpo me lo dirà, no?” rispose con voce tremante. “È un processo naturale. Voglio dire, le donne hanno partorito per milioni di anni senza ospedali e anestetici…”
“Oh, impressionante”, intervenne House. “È in travaglio e riesce a farci un riassunto dell’evoluzione del parto nella storia.” Lanciò un’occhiata al paziente in coma e inghiottì il boccone. “Quanto ci scommetti che Carly avrà un’emorragia?”
Il respiratore a cui il paziente era collegato pompò un’altra boccata d’aria nei suoi polmoni.
“Benissimo” replicò House, come se quello gli avesse risposto. “Vedo il tuo dollaro e ne aggiungo un altro che Carly inizia ad autocommiserarsi e detestarsi. Giusto per alzare la posta.”
Il paziente in coma inspirò ed espirò di nuovo.
“A posto. Ci sei.” House sollevò il sandwich nella sua direzione, lasciando cadere una manciata di briciole sulle lenzuola. Poi tornò a dedicarsi alla tv, strappando un altro morso al sandwich quando sentì la porta aprirsi.
Wilson fece capolino. “Ehi.”
House lo guardò a metà del morso, unico segno di riconoscimento prima di tornare ancora una volta a guardare la televisione. Con la coda dell’occhio poteva vedere Wilson fissare lo schermo.
“Perché mi stavi seguendo?” piagnucolò Carly prima di prorompere in un altro, poco convincente ansimo di dolore.
“Dopo che ti ho lasciato al parco, Sonny è venuto a vedermi, ok?” la rimproverò Lorenzo. Poi prese la mano di Carly in un’eccezionale dimostrazione d’affetto, guardandola negli occhi. “Gli ho detto che ci eravamo incontrati. Era furioso. Stavo per usare quello che sapevo per metterlo contro di te, ma poi ho capito che cosa significava davvero; che probabilmente lui ti avrebbe fatto del male.”
“Io… penso di non interrompere niente di importante, allora” commentò Wilson, sarcastico, entrando nella stanza.
Senza staccare gli occhi dal televisore, House puntò il dito contro di lui mentre mostrava al mondo intero la poltiglia nella sua bocca. “Stai dicendo una bestemmia.”
Wilson si fermò, richiudendo la porta, e guardò sopra la sua spalla. “Cosa?” Finì di chiuderla con un tonfo sordo e poi tornò a guardare House. “Insinuare che General Hospital non sia importante è una bestemmia?”
House inghiottì e indicò insistentemente alla porta, gli occhi ancora incollati al televisore. “Vattene, tu e la tua bestemmia.”
“Che ne diresti di…” iniziò Wilson. Fece qualche passo nella stanza e posò le mani sui fianchi con aria provocatoria. “… no?”
House gli lanciò uno sguardo annoiato; stava cercando di sentire cosa stava succedendo tra Carly e Lorenzo e non apprezzava che Wilson lo distraesse. Tornò a guardare la tv. “Non hai qualche paziente col cancro a cui prodigare le tue cure?”
In risposta Wilson gli lanciò uno sguardo di disapprovazione. “Non sarei qui se avessi dei pazienti da visitare. Al contrario di certa gente, io lavoro e mi prendo una pausa quando me la merito, non quando mi va.”
“Non mentire” replicò House, gli occhi di nuovo su Wilson. “Tu fai pause ingiustificate tutto il tempo!”
“Non con pazienti in coma.”
“Certo,” disse House secco, “perchè non è proprio questo il motivo per il quale sei nella stanza del tizio in coma proprio adesso, eh?”
Wilson strinse le labbra in una linea sottile; la posa che assumeva quando sapeva che House aveva ragione e non voleva ammetterlo. Guardò il paziente e poi si rivolse a lui. “Gli stai facendo cadere le briciole addosso.”
“Wow, quello che si dice un delicato cambio d’argomento” disse House, impassibile.
Wilson indicò il paziente. “Be’, lo stai facendo!”
“È in coma. Come se gli importasse.” Ehi, ma perchè ne stava parlando? Lui stava cercando di vedersi il suo programma. Improvvisamente House rivolse a Wilson uno sguardo infastidito, indicando la televisione col suo sandwich ed esclamando: “Sto cercando di seguirlo. Quindi siediti e sta’ zitto, o vattene.”
Wilson aprì la bocca per replicare, ma poi guardò House ed evidentemente cambiò idea, perché la richiuse. Giunse dall’altro lato del letto e si lasciò cadere sulla sedia.
“Ora siediti lì buono buono e sentiti rifiutato.” House riportò il sandwich alla bocca e diede un morso, la sua attenzione di nuovo tutta per il programma.
“Sette, otto, nove, dieci” contò Lorenzo insieme a Carly, la mano stretta nella sua, mentre lei lottava con l’ennesima contrazione. “Respira, respira. E… rilassati.” Carly si risistemò sul letto improvvisato con le coperte, ansimando. “Bene, bene. Va tutto bene.”
“Tu non mi vuoi” disse Carly, il labbro inferiore teso come se stesse per scoppiare in lacrime.
“Non puoi decidere come mi devo sentire io.
“Tu ami Sophie” replicò lei, la voce drammaticamente rotta dalla disperazione. “Lei ti manca.
“Perchè non guardi questa cagata nel tuo ufficio, comunque?” intervenne Wilson.
House stava dando un altro morso al suo sandwich. Guardò Wilson con aria infastidita e masticò per un po’ prima di rispondere, “Il tizio in coma è una buona compagnia.”
Guardò Wilson occhieggiare il paziente. “Lo sai, è piuttosto triste che tu cerchi la compagnia di un paziente in coma.”
House inghiottì il boccone. Poi guardò fissò Wilson. “Almeno lui sta zitto quando glielo chiedo.”
“È in coma; non parla mai. Da quanto non parla? Due? Tre anni?”
“Dovresti prendere una o due lezioni da lui, allora”. Wilson piegò il capo e lo guardò storto, come faceva sempre quando non capiva cosa diavolo House stesse dicendo. House ignorò l’occhiata, comunque, e continuò, “E poi ho fatto una scommessa con lui.”
Lo sguardo bizzarro che Wilson gli stava rivolgendo si intensificò. “Hai fatto una scommessa con un tizio in coma?”
“Sì. Ho scommesso un dollaro che Carly”, indicò la televisione con il sandwich, “avrà un’emorragia mentre dà alla luce il bambino.”
“Hai scommesso un dollaro?”
“E poi ho aumentato la scommessa di un altro dollaro che in tutto questo Carly confesserà a Lorenzo di autocommiserarsi e farsi schifo.”
“Hai scommesso un altro dollaro?”
House lo guardò storto. “Ma c’è l’eco in questa stanza?”
Wilson lo ignorò. “Fai regolarmente scommesse col tizio in coma?”
“Be’, non sarebbe etico da parte mia, giusto?” sbuffò House, sarcastico. Sentendo Carly alla tv prorompere in uno strillo di dolore, lanciò a Wilson un’altra occhiata irritata. “Vuoi stare zitto? Sto cercando di seguire.”
Wilson continuava esplicitamente ad ignorarlo. “Penso che l’idea dell’etica ti faccia soffrire quanto un’ernia.”
“Zitto, o te la do io l’ernia!”
Wilson richiuse la bocca e guardò House con fastidio prima che entrambi tornassero a guardare la tv.
“Non è possibile confonderti con nessun altro” disse Lorenzo a Carly, ora stringendole la mano e fissandola in adorazione. “Tu sei davvero unica. Sei testarda e implacabile…”
House sentì Wilson borbottare: “Dio, mi ricorda qualcuno che conosco.”
“… e anche se non lo ammetterai, sei una persona piena di speranza, Carly…”
“Oh mio Dio!”
esclamò Carly, drammaticamente.
Per te stessa e per questo bambino, mi hai trasmesso questa fiducia e ora io non posso arrendermi.”
Carly stava iniziando a piangere riuscendo a non far colare lungo le guance la distesa di mascara spessa un pollice.
“Oh, non capisci che il tuo primo errore è pensare che io sia una persona buona?” ansimò. Fece una smorfia di dolore non appena fu stretta da un’altra contrazione. “Non lo sono. Non sono una persona buona. Io sono… sono…”
“Eccolo lì” disse House, puntando il sandwich contro la televisione. “Il tizio in coma mi deve un dollaro.”
“Aspetta un minuto” lo interruppe Wilson. House lo guardò e vide Wilson fissare il sandwich che lui stava mangiando. “Quello è il mio sandwich.”
House alzò le spalle con indifferenza, il sandwich di nuovo piegato verso la sua bocca. “Ah sì?”
“Quello è il mio sandwich.”
“Be’, lo era,” replicò House, lentamente. Fece una pausa per strappare un altro morso mentre Wilson lo guardava esasperato, e poi continuò con un pezzo di lattuga che pendeva giù dall’angolo della bocca, “È mio adesso.”
“Ci avevo messo un’etichetta!”
“Correggimi se sbaglio, ma credo che abbiamo già fatto questo discorso”, disse House, mentre un pezzo di crescione gli cadeva dalla bocca sulla maglietta. Guardò giù e lo spolverò via con un dito.
“Hai rubato il mio pranzo!”
House prese un altro boccone, guardò di nuovo Wilson e poi sbuffò. “Ti comporti come un bambino di sei anni, Jimmy. Corri dal Preside Cuddy a fare la spia?”
“C’è qualche parte di ‘Proprietà di James Wilson, Non Toccare’ che non riesci a capire?”
House scrollò le spalle. “Chi lo trova se lo tiene.”
“Chi lo trova se lo tiene?”
House portò il sandwich alla bocca per un altro morso. “Io l’ho trovato. Quindi me lo tengo.”
“Tu non l’hai trovato!” esclamò Wilson. “Tu l’hai rubato!”
“Preso in prestito.”
“Come fai a prendere in prestito un sandwich che hai tutte le intenzioni di mangiarti?”
“Okay. L’ho reclamato.”
Wilson lo guardò con aria di rimprovero. “L’hai rubato.”
House sventolò la mano con noncuranza. “Semantica.”
Wilson sbatté le palpebre, poi scrollò la testa rapidamente, sconcertato. “Dov’è la semantica nel fatto che rubi il mio cibo?”
“Era di fronte a me quando ho aperto il frigo,” spiegò House, semplicemente. “L’ho visto, l’ho reclamato e ora,” indicò il sandwich quasi finito, “lo sto mangiando.”
“Tu lo sai che il fatto che sia tornato a stare da te non ti dà il diritto automatico di vivere alle mie spalle tutto il tempo?”
“Ti do una stanza gratis e una tavola; che altro vuoi?”
Wilson sembrò punto sul vivo. Si riprese rapidamente, comunque, e replicò sulla difensiva, “Io lavo i tuoi piatti, anche quando è il tuo turno di farli. Principalmente perché non li fai mai.” Iniziò a tamburellare le dita. “Cucino per te. Qualche volta lavo anche i vestiti che lasci in bagno…”
“Dio, cominci ad assomigliare in modo terrificante a mia madre” replicò House, roteando gli occhi.
“… ti lascio monopolizzare il telecomando…”
“Be’, sì, è il mio televisore. Lo monopolizzo quanto mi pare.”
“… passo anche l’aspirapolvere…”
House indicò Wilson col sandwich, accusatorio. “Questo è perché sei maniacale.”
“… e tutto quello che sai fare per ringraziarmi di quanto sopporto è scroccare tutto il mio cibo dal frigo!”
“Merda, Jimmy,” replicò House, con aria falsamente offesa. “Cominci a farmi sembrare ingrato.”
“È perché lo sei!” esplose Wilson.
House sbatté le palpebre, leggermente preso alla sprovvista. Riprendendosi in fretta rispose, “Capisco. Quindi, il fatto che ti permetta di stare gratis nel mio appartamento mi rende ingrato.”
“Io…” iniziò Wilson, esasperato. Gesticolò selvaggiamente con le mani. “Io…”
“Tu cosa?”
“Io… no! Sì! No!” Wilson fece un altro gesto inconsulto. “Non lo so!”
“Non lo sai”, gli fece eco House, con voce inespressiva.
“Be’, io… io…” balbettò Wilson, “Non mi piace che tu mangi il mio cibo!”
“Non ti biasimo” replicò House, in modo spiccio, portandosi alla bocca l’ultimo morso del sandwich. “Neanche a me piacerebbe che mangiassi il mio cibo.”
Wilson lo guardò incredulo. “E allora perché tu mangi il mio?”
House sbuffò e si ficcò in bocca l’ultimo boccone. Scrollò le briciole dalle mani e replicò con la bocca piena, lanciando noncurante l’involto del sandwich che cadde sul letto, “Perché posso.”
Ignorando l’espressione perplessa di Wilson, House sentì Carly esclamare alla tv, “Oh, sto sanguinando molto?”
“Stai sanguinando”
replicò Lorenzo, guardando tra le sue gambe. “Non so se è troppo.”
“Il tizio in coma mi deve un altro dollaro” osservò House, tendendosi dietro di lui per prendere la sua bibita. “Sta per avere un’emorragia.”
“Tu mangi il mio cibo perché puoi,” replicò Wilson; lo stava ancora guardando con incredulità. “Non riesco a capire la logica.”
“Non riesci a capire la logica di stare zitto”, replicò House, guardandolo.
Wilson lo indicò con aria d’accusa. “Tu non riesci a capire la logica di non mangiare il cibo degli altri.”
“C’è una logica nel non mangiare il cibo che sta nel mio frigo? Non c’è logica, Jimmy. È illogico.”
“È il mio cibo!”
“È il mio frigo!”
Wilson sollevò le mani in segno di resa, e poi disse: “Benissimo. Se puoi fare una scommessa col tizio in coma” mosse il pollice nella direzione del paziente, “allora puoi fare una scommessa con me.”
“Una scommessa?” lo canzonò House. “Su cosa?”
“Che puoi stare un mese senza mangiare il mio cibo.”
“Un mese” replicò House, corrugando la fronte. “Progetti di restare a casa mia per un mese?”
Wilson sembrò scioccato per un momento. “Non hai mai detto che c’era una scadenza entro cui andarmene.”
“So di non averlo fatto.”
“Be’, perché l’hai tirato in ballo?”
House prese un sorso della sua bibita e si leccò le labbra. “Perché visto quanto te la prendi quando mangio il tuo dannato cibo ho l’impressione che non voglia restarci per un mese.”
“Direi che voglio fare una scommessa per un mese se avessi qualche intenzione di andarmene?”
House non poté farne a meno; un sorrisetto gli incurvò le labbra. Anche se non voleva ammetterlo, era bello avere Wilson a casa sua. La compagnia era buona, se non si teneva conto di quanto si dessero reciprocamente sui nervi. Cancellò subito il sorriso e bevve un altro sorso. “Perfetto.”
“Perfetto cosa?”
“Perfetto. Farò una scommessa con te.”
Wilson parve sorpreso; ovviamente non si era aspettato che House accettasse. “Be’, uh… okay. Io…”
“Una cosa, però,” lo interruppe House. “Io decido su cosa scommettiamo.”
Wilson divenne subito guardingo. “Okay…” disse lentamente, socchiudendo gli occhi.
House bevve un’altra volta, rumorosamente. “Il tizio in coma.”
Wilson abbassò gli occhi sul paziente con aria confusa. “Che ha?”
“Scommettiamo sul tizio in coma,” spiegò House. “Se si sveglia, non mangio il tuo cibo per un mese.”
Sbuffando rumorosamente, Wilson esclamò incredulo, “Non è una scommessa legittima!”
“Perché no?”
“Perché… perché…” Stava gesticolando di nuovo selvaggiamente, questa volta verso il paziente. “Perché è in coma da tre anni!”
“Sì? E quindi?”
“E quindi? Non si sveglierà tanto presto!”
“Appunto. Il che significa che tu perdi all’istante la scommessa e io posso continuare a mangiare il tuo cibo.”
Wilson lo guardò torvo. “Le probabilità che quel tizio si svegli sono più o meno le stesse che io ti baci.”
House scosse la testa pensoso. “Hmm. Okay. Se si sveglia mi devi anche baciare.”
“Cosa?! Perché?!”
“Perché…” iniziò House lentamente, indicando il paziente con la sua bibita, “tu hai appena detto che le probabilità che si svegli sono le stesse che tu mi baci. È un’altra scommessa che ho già vinto.”
“No,” replicò Wilson, minaccioso, la faccia rossa d’imbarazzo, scuotendo la testa. “Niente da fare.”
House alzò le spalle con indifferenza. “Okay. Niente da fare, allora” replicò portandosi di nuovo il bicchiere alle labbra. “E io continuo a mangiare il tuo cibo.”
“Questo non è leale.”
“Senti, ora stai diventando un rompiscatole.”
Guardò Wilson aprire e chiudere la bocca un paio di volte, scioccato, prima che House tornasse a dedicarsi alla tv. “Intendevo soldi, House,” replicò alla fine. “Scommettere coi soldi. Non col paziente in coma.”
“Noioso.”
Logico.”
“Sì, e logico è noioso. Scommettiamo col tizio in coma o niente.”
Wilson emise un sospiro esasperato, e quando House lo guardò vide che Wilson stava fissando il soffitto come a chiedere in silenzio a qualche forza invisibile di avere pietà di lui. “Okay, d’accordo,” disse con voce piatta, tornando a guardare House. “Scommettiamo sull’altamente improbabile possibilità che il paziente in coma si risvegli mai, e se per caso si risveglia tu stai lontano dal mio cibo per un mese.”
House era sorpreso, ma lo nascose. “E”, aggiunse, indicando Wilson con la bibita, “tu devi baciarmi.”
La faccia di Wilson avvampò di nuovo. “Perché vuoi che ti baci?”
House sbuffò. “Non voglio. Sto solo scommettendo su un rischio selvaggio con la tranquilla consapevolezza che non si verificherà mai.”
Vide Wilson serrare la mascella e poi tornare a guardare il televisore. Sorridendo appena con aria di trionfo, House sedette di nuovo sulla sua sedia, disincrociando le caviglie e incrociandole in un’altra posizione mentre guardava un’altra scena del programma proiettata alla tv.
La puntata lo assorbì così tanto che non si accorse di come Wilson guardava ogni istante il monitor del supporto vitale del paziente. Non finché improvvisamente non sentì Wilson dire con voce funerea, mentre studiava l’encefalogramma del paziente, “House, dovresti fare attenzione a cosa desideri.”
“Hmm?” replicò, guardando in direzione di Wilson mentre beveva l’ultimo sorso della sua bibita. Vedendolo fissare il monitor, House fece altrettanto e un momento dopo mise giù i piedi dal letto e saltò in piedi, l’espressione sconcertata.
L’encefalogramma stava monitorando condizioni normali, onde che fluttuavano lente, e House e Wilson lo stavano ancora fissando quando il paziente si mosse. I suoi occhi iniziarono ad aprirsi.
“Non ci credo” disse Wilson. House non sapeva dire se suonasse più sorpreso o terrificato.
“Credici” replicò, stordito quanto lui.
Passarono subito all’azione: Wilson pescò una penna luminosa dalla tasca e iniziò a controllare la reazione della pupilla del paziente mentre House sbatteva la bottiglia sul tavolino a fianco al letto e verificava le funzioni vitali. L’infermiera in servizio fu chiamata un momento più tardi, e il respiratore venne estratto con molta attenzione dalla gola del paziente. Un altro controllo fu dato alle reazioni cardio-polmonari. House tolse via l’involto del pranzo rimasto sulle lenzuola, e con un colpo gettò la bottiglia nel cestino ai piedi del letto. Poi lui e Wilson rimasero vicino alla porta e guardarono il team delle infermiere iniziare a parlare col paziente, che rispose con voce gracchiante.
“Be’“ osservò House con vaga freddezza, appoggiato al suo bastone, “Penso che non mangerò il tuo cibo per un mese, allora.”
“Uh” replicò Wilson, posando le mani sui fianchi. Ci fu una pausa quando un altro medico entrò e iniziò a fare al paziente una serie di domande frettolose per testare le sue reazioni cognitive; il dottore era ovviamente un neurologo. “Tu sai cos’altro significa, vero?” aggiunse Wilson, dando uno sguardo a House.
House girò gli occhi verso di lui. “Cosa?”
Wilson arricciò le labbra. “Io devo…” Si schiarì la gola e guardò la bocca di House.
Oh, merda. L’aveva dimenticato in quella confusione improvvisa. House guardò rapidamente altrove, sentendo la nuca formicolare d’umiliazione o d’orrore - non era sicuro di cosa fosse.
“Oh. Giusto.” House si dimenò sul posto e interiormente si prese a calci per aver mai menzionato quella stupida parte della scommessa. “Lo sai, non devi per forza rispettare il tuo patto”, tentò, guardando di nuovo Wilson.
“Se non lo faccio, chi mi dice che tu rispetterai il tuo?”
House provò a scacciare il disagio con uno sbuffo e guardò bene in faccia Wilson. “Chi ti dice che lo rispetterò, comunque?”
Roteando gli occhi, Wilson sospirò e guardò House a sua volta. “Sfortunatamente, hai ragione.”
Guardando l’involto del pranzo nella sua mano, House appese il bastone sull’avambraccio e staccò il post-it. Tornò a guardare Wilson, sorrise e poi gli appiccicò il biglietto sulla fronte. “Bene, la prossima volta che fai un sandwich, non metterci così tanto crescione. Non mi piace col manzo.”
E con ciò stese la mano e cacciò la carta nella tasca del camice di Wilson, infilandola dietro alle penne, poi si diresse verso la porta. Era fuori prima che Wilson potesse dire qualcosa in risposta.

+ Fine +




* = trascritto dalla puntata di General Hospital del 24/10/03 – Lo so, un po’ vecchia, ma non importa molto. (NdA)



Titolo: La legge di Murphy - Il finale alternativo
Autore: Cryptictac (tradotto da Fiorediloto)
Pairing: House/Wilson
Rating: PG-13


+ La legge di Murphy – Il finale alternativo +




House aprì il frigo e sbirciò all’interno, occhieggiando le due bottiglie, i tre sandwich e le due mele, ognuno dei quali con sopra il proprio post-it. Grattandosi la testa, cercò di decidere cosa voleva e dopo un momento di meditazione allungò la mano a prendere un sandwich. La ritirò, chiuse il frigo e, sorpresa, Wilson era lì con espressione minacciosa.
“Oh” esclamò House.
“Non rispetti il tuo patto, vedo” osservò Wilson, fissando esplicitamente il sandwich.
“Oh, andiamo” replicò House. “Pensi davvero che lo farei?”
Wilson lo guardò con aria pacata, le mani ora sui fianchi. “No, ma non è questo il punto. Potresti provare a rispettare il tuo patto.”
“Non è che tu sia rispettando il tuo.”
Vide Wilson sbattere le palpebre, sorpreso, e subito cercare di riportare la sua espressione a uno stadio neutro. “Tu vuoi che io rispetti il mio patto?”
House sbuffò. “Quali erano le possibilità che il tizio in coma si svegliasse, eh?”
“Più o meno le stesse che tu non mangiassi il mio cibo.”
“Esatto.”
Wilson sospirò e si guardò intorno nella cucina prima di tornare a fissare House. Poi fece un passo verso di lui.
House lo guardò sospettoso. “Che stai facendo?”
Wilson si fece più vicino. “Rispetto il mio patto.”
“Huh?” esclamò House, ammutolito. “Cosa?” Prima che House avesse la possibilità di arretrare Wilson gli aveva preso la faccia tra le mani. Erano calde e sudate; Wilson era ovviamente nervosissimo. House sentì i propri palmi farsi all’istante viscidi di sudore. “Wilson…”
“House, sta’ zitto” ordinò Wilson.
“Sei impazzito?”
Wilson si fece ancora più vicino, finché i loro corpi non si toccarono. “Sei tu che hai fatto la scommessa.”
A questo House non poteva ribattere. Aprì la bocca per rispondere, ma scoprì di essere troppo scioccato da quello che Wilson stava facendo per pensare a qualcosa di spiritoso. Provò a girare il capo per guardare altrove, ma Wilson lo stringeva saldamente. “Sei impazzito” confermò House.
“House, sta’ zitto.”
Wilson era vicinissimo ora; House poteva sentire il suo respiro accelerato contro le labbra e vedere le sue pupille dilatate. Lo sentì passargli brevemente i pollici sugli zigomi, prima che le labbra entrassero improvvisamente in contatto.
Non si baciarono all’inizio: semplicemente le loro bocche premettero l’una sull’altra, mentre entrambi si respiravano rapidi e nervosi addosso. Gli occhi di House erano ancora aperti, come quelli di Wilson. Improvvisamente sentì le labbra dell’altro muoversi lievemente contro le sue, e non intese rispondere ma lo fece; cautamente mosse le labbra contro quelle di Wilson.
Questi, da parte sua, rispose muovendo di nuovo le labbra, e prima che House realizzasse cosa stava succedendo stava baciando Wilson con dolcezza. O forse Wilson lo stava baciando con dolcezza. Non importava realmente cosa fosse perché il bacio era languido e soffice al punto che House chiuse gli occhi e si ritrovò a premere leggermente contro Wilson.
Il sandwich che stringeva in mano gli scivolò improvvisamente e cadde a terra con un tonfo.
I suoni nella stanza sembravano smorzati; l’orologio che ticchettava sopra il forno, la televisione accesa sullo sfondo. House era perfettamente conscio di tutto questo; il sapore della bocca di Wilson, il modo in cui le labbra massaggiavano le sue, quanto il suo respiro fosse accelerato. House aprì gli occhi un istante e vide che quelli di Wilson erano chiusi e la sua fronte corrugata in un’intensa concentrazione, come se stesse assaporando ogni istante. Stringendo di nuovo gli occhi, House trovò una mano che vagava sul fianco di Wilson e lo attirò a sé non appena il bacio si approfondì, la lingua che nervosamente toccava la sua.
Il bacio iniziò a smorzarsi spontaneamente finché entrambi non si fermarono, le labbra premute, immobili. House fu il primo a staccarsi un momento dopo, aprendo gli occhi mentre lo faceva, e vide che la faccia di Wilson era diventata di un rosso intenso.
Inghiottì a fatica e si tirò indietro con un respiro incerto.
I suoni nella stanza tornarono lentamente a fuoco. House si schiarì la gola e si allontanò, a disagio, guardando il sandwich che giaceva sul pavimento. “Uh…” iniziò, la mano che si sfregava nervosamente la mascella.
Wilson si allontanò, ugualmente a disagio, le mani ora sprofondate nei jeans. “Be’, uh…” provò. Non sembrava in grado di trovare qualcosa da dire.
“Sì”, assentì House, pur non avendo idea di cosa stessero parlando. Guardò Wilson nello stesso istante in cui Wilson guardò lui, ed entrambi distolsero rapidamente lo sguardo, senza sapere dove guardare.
“Sì”, ripeté House, giusto per dire qualcosa.
Improvvisamente Wilson si chinò e raccolse il sandwich dal pavimento, rialzandosi. Lo soppesò nella mano, come meditando su qualcosa. Poi staccò esitante il post-it - Proprietà di James Wilson, dichiarava - e con un lento, frivolo sorriso lo appiccicò sul petto di House.
“Chi lo trova se lo tiene” commentò, il sorriso sempre più largo. Poi girò sui tacchi e uscì dalla cucina scartando il sandwich.
House lo guardò, senza riuscire a cancellare il sorriso spuntatogli in faccia. Guardò in basso, il post-it, e sbuffò a se stesso con un ghigno prima di raggiungere il frigo e aprirlo per afferrare un altro dei sandwich di Wilson.
Eh già, chi lo trova se lo tiene.


+ Fine (davvero, stavolta) +


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